Excursus Legale sulla Questione Agricola

Piccola Proprieta’ Contadina:

L’Agenzia delle entrate ha precisato che per fruire dell’agevolazione non è più necessario che ricorrano le condizioni precedentemente previste dalla legge 6 agosto 1954, n. 604, ovvero circostanza che l’acquirente dedichi abitualmente la propria attività alla lavorazione della terra, l’idoneità del fondo alla formazione o all’arrotondamento della piccola proprietà contadina e la mancata alienazione nel biennio precedente di fondi rustici di oltre un ettaro. Pertanto, non è più necessario richiedere all’ispettorato provinciale agrario il certificato (prima provvisorio e poi definitivo) che attesta la sussistenza dei requisiti al fine dell’applicazione del regime agevolato (Risoluzione 17 maggio 2010, n. 36/E). Il certificato, che già era stato escluso per gli imprenditori agricoli professionali, non è più necessario neppure per i coltivatori diretti. In entrambi i casi, la presenza dei requisiti previsti dalla nuova normativa viene dichiarata dal coltivatore diretto o dall’imprenditore agricolo professionale direttamente nell’atto di acquisto.

L’Agenzia delle entrate ha espressamente riconosciuto che l’agevolazione Ppc può essere richiesta anche quando il socio conferisce in una società agricola i propri terreni agricoli (e fabbricati accessori), nonostante la lettera della legge faccia riferimento soltanto all’acquisto mediante atto di compravendita (Risoluzione 4 gennaio 2008 n. 3).

Recentemente l’agevolazione per la piccola proprietà contadina è stata estesa, per la prima volta, a favore di soggetti che non hanno la qualifica di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, e non sono iscritti nella relativa gestione assistenziale e previdenziale.


Con la consulenza giuridica n. 2 del 25 gennaio 2022 l’Agenzia delle entrate ha chiarito che lo svolgimento di attività agricoleconnesse” da parte di una cooperativa agricola di conferimento (o da un consorzio di cooperative agricole), che commercializza i prodotti conferiti dai soci, non dà luogo ad operazioni imponibili ulteriori rispetto alle cessioni di beni dai soci al sodalizio e da questo ai terzi.

L’istanza di parte

La tematica oggetto di consulenza riguarda il trattamento IVA delle attività agricole connesse alla vendita, svolta da cooperative agricole di conferimento (o da un consorzio di cooperative agricole) che, a seguito del conferimento del prodotto agricolo da parte dei soci (o delle cooperative consorziate), si impegnano a commercializzarlo o valorizzarlo.

Nel caso prospettato, a seconda di quelle che sono le effettive modalità di esercizio delle attività statutarie di commercializzazione dei prodotti agricoli, i soci cooperatori (o le cooperative associate), hanno facoltà di scegliere se la cessione del prodotto, nel caso specifico cereali (frumento, mais, soia, orzo) avvenga a date predeterminate oppure secondo scelte operate esclusivamente dalla cooperativa (o dal consorzio).

Le differenti modalità di vendita, la cui scelta risponde all’esigenza di tutelare in via esclusiva l’interesse del socio conferente nel rispetto dello scambio mutualistico che caratterizza i sodalizi cooperativi, ha un diverso impatto in termini di attività e di costi di conservazione del prodotto medesimo.

Nel primo caso, infatti, conosce a priori quale potrà essere l’impatto dei costi di conservazione del prodotto mentre se la scelta di vendita dipende esclusivamente dalla cooperativa (o dal consorzio) i costi varieranno a seconda del momento di effettuazione della vendita, che potrà avvenire ad esempio immediatamente dopo la consegna o dopo un periodo di ventilazione” che occorre per mantenere il prodotto “adatto alla cessione”.

A tal riguardo l’istante chiede all’Agenzia delle entrate di sapere se le attività amministrative svolte dalla cooperativa sui beni conferiti dai propri soci (trasformazione, manipolazione, valorizzazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci) configurino o meno prestazioni di servizi rilevanti ai fini IVA.

L’istante ritiene in particolare che le attività tra cooperativa e soci conferenti (o tra consorzio e cooperative) rilevanti ai fini IVA siano soltanto le operazioni di cessione di beni e non di prestazione di servizi.

La posizione dell’Agenzia delle entrate

L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto sostanzialmente corretta l’interpretazione proposta dalla cooperativa istante, richiamando sul punto la risoluzione n. 65/E del 12 giugno 2012 in materia di trattamento ai fini IVA delle attività agricole “connesse”, svolte da una società cooperativa agricola che commercializza i prodotti agricoli conferiti dai propri soci.

In primo luogo, in ragione dell’art 2135, co. 3 del cod. civ. si intendono connesse “le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.”

Ciò premesso, la risalente prassi dell’Agenzia delle entrate aveva già chiarito che nelle cooperative agricole, che ai fini civilistici e IVA si qualificano come “produttori agricoli”, è ravvisabile un rapporto di continuità tra socio cooperatore e sodalizio nello svolgimento delle attività agricole, ivi comprese quelle connesse di cui all’art. 2135 cit.

Nell’ambito delle attività di commercializzazione dei prodotti conferiti, quindi, le attività connesse non costituiscono autonome prestazioni di servizi rese dalla cooperativa ai soci, ma “rappresentano una fase dell’attività di commercializzazione svolta dalla cooperativa per conto dei soci” dirette a realizzare una migliore produttività del prodotto.

Con la consulenza giuridica dello scorso 25 gennaio l’Agenzia delle entrate ha deciso di dare continuità a tale orientamento perché il contesto normativo in argomento non è mutato nella sostanza.

In conclusione, quindi, fino a quando le attività svolte dalla cooperativa agricola siano da ritenersi connesse ai sensi dell’art. 2135 cc, le stesse non danno luogo ad operazioni imponibili ulteriori rispetto alla cessione dei beni (dai soci all’ente e dall’ente ai terzi), che resta l’attività principale esercitate dalla cooperativa agricola a favore dei soci (o dal consorzio a favore delle cooperative associate).

Aspetti fiscali della impresa agricola: le attività agricole per connessione

di Isabella Buscema

Quali sono le cosiddette le attività connesse all’impresa agricola (manipolazione, commercializzazione e trasformazione) aventi ad oggetto prodotti agricoli acquisiti prevalentemente da terzi? Analizziamo come vanno tassati i redditi agricoli in base alle regole del Testo Unico

Fiscalità delle attività agricole connesse – Premessa

L’attività di controllo del Fisco è indirizzata nei confronti di imprese che svolgono le cosiddette attività connesse (manipolazione, commercializzazione e trasformazione) aventi ad oggetto prodotti agricoli acquisiti prevalentemente da terzi.

Le attività essenzialmente agricole

Occorre differenziare l’attività essenzialmente agricola (la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l’allevamento di animali) dall’attività agricola per connessione.

L’art. 2135 c.c. statuisce che

“è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”.

Le attività agricole per connessione

Chi esercita un’attività essenzialmente agricola rimane imprenditore agricolo anche se svolge, oltre a tale attività, una delle attività che si chiamano agricole per connessione.

Le attività connesse, sono attività che nascono come commerciali e che per una fictio iuris, nel momento in cui sono esercitate da un imprenditore agricolo e rispettano determinati parametri predefiniti si considerano connesse con tutte le conseguenze che ne derivano.

Le attività connesse sono di natura commerciali ma, per effetto di una finzione giuridica, vengono equiparate a quelle agricole. Un’attività si considera connessa solamente quando viene esercitata utilizzando prevalentemente1 prodotti provenienti da un’attività agricola per natura (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali).

Si reputano connesse quelle attività che in sé agricole non sono (tanto che, se esercitate autonomamente, fanno acquistare la qualità di imprenditore commerciale), ma che, se svolte da chi esercita un’attività agricola essenziale, sono giuridicamente assorbite da questa (e perciò non fanno acquisire la qualità di imprenditore commerciale).

Nella circolare 14 maggio 2002 n. 44 l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che l’utilizzo di prodotti acquistati presso terzi è ammesso al fine di migliorare la qualità del prodotto finale e di aumentare la redditività complessiva dell’impresa agricola; è il caso, ad esempio, dell’imprenditore vitivinicolo che acquista vino da taglio presso terzi per migliorare la qualità del proprio prodotto.

Tassazione catastale

Le attività agricole connesse possono essere considerate produttive di reddito agrario, e quindi assoggettate alla tassazione catastale, a condizione che siano contemplate nell’elenco contenuto in un apposito Decreto da aggiornare con cadenza biennale2.

E’ considerato agricolo il reddito che l’imprenditore realizza a seguito ad esempio della commercializzazione del vino derivante da un processo di lavorazione di uve ottenute in misura prevalente dalla coltivazione del fondo da lui stesso effettuata. Infatti, in tal caso trova applicazione la norma che prevede che le attività connesse e cioè quelle dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti rientrano nel reddito agrario, anche se non svolte sul terreno, purché:

  • i beni e le attività rientrino in quelle previste da un apposito decreto emanato con cadenza annuale;
  • i beni siano ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo.

Da ultimo occorre fare riferimento al Decreto 13.2.2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 62 del 16.3.20153.

Prevalenza

Sono attività oggettivamente connesse quelle dirette:

  • alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale;
  • alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata.

In entrambe le ipotesi si fa uso del concetto di prevalenza per delimitare il perimetro della connessione.

Nel primo caso deve trattarsi di prevalenza dell’attività agricola essenziale su quella connessa; nel secondo deve trattarsi di prevalenza, nell’esercizio dell’attività connessa, delle attrezzature e delle risorse che normalmente sono impiegate nell’attività agricola essenziale.

Ad esempio, in presenza di un’attività di servizi svolta utilizzando un trattore normalmente impiegato nell’attività agricola principale e una mototrebbiatrice normalmente non utilizzata per l’attività principale, il requisito della prevalenza andrà verificato sulla base del raffronto tra il fatturato ottenuto con l’utilizzo del trattore nell’attività di servizi per conto terzi (ad esempio, 40mila euro) e il fatturato ottenuto con la mototrebbiatrice (ad esempio, 35mila euro).

Nell’effettuare tale confronto, non possono essere annoverate fra le attrezzature “normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata” della propria azienda beni le cui potenzialità siano sproporzionate rispetto all’estensione dei terreni dell’imprenditore agricolo o che non siano necessari nello svolgimento delle sue colture4.

Le attrezzature impiegate per le prestazioni di servizi devono essere le stesse utilizzate normalmente nell’azienda agricola (p.e. un agricoltore senza animali non può svolgere il servizio di smaltimento liquami per conto di terzi)5; le attrezzature utilizzate nelle attività di servizi devono essere impiegate prevalentemente nell’attività agricola.

Il limite, va ricercato nei criteri di:prevalenza6 dei servizi operati sul proprio fondo o sui propri prodotti rispetto a quelli resi a terzi7;attinenza dell’attività svolta, con l’attività agricola principale.

Diversa tassazione

E’ possibile affermare che:

  • l’attività di trasformazione e manipolazione di prodotti propri indicati nel decreto ministeriale è considerata attività agricola e la tassazione rientra nel reddito agrario;
  • la trasformazione e manipolazione di prodotti agricoli acquistati da terzi, purché compresi tra quelli indicati nel citato decreto, è considerata come attività agricola e quindi si applica la tassazione in base al reddito agrario, purché vi sia integrazione con i prodotti propri e sia rispettato il criterio di prevalenza;
  • l’attività di mera commercializzazione, conservazione e valorizzazione di prodotti acquistati presso terzi determina, invece, reddito d’impresa.

In mancanza della condizione della prevalenza, occorrerà distinguere il caso in cui l’attività connessa abbia ad oggetto beni che rientrano fra quelli elencati nel decreto ministeriale dal caso in cui riguardi beni diversi da questi ultimi.

Infatti, nella prima ipotesi opera la c.d. franchigia e, quindi, sono da qualificarsi come redditi agrari ai sensi dell’art. 32 i redditi rivenienti dall’attività di trasformazione dei prodotti agricoli nei limiti del doppio delle quantità prodotte in proprio dall’imprenditore agricolo (o, nel caso di acquisti per un miglioramento della gamma, nei limiti del doppio del valore normale delle medesime); i redditi ottenuti dalla trasformazione delle quantità eccedenti devono, invece, essere determinati in base alle regole in materia di reddito d’impresa ai sensi dell’art. 56 del Tuir.

Nel caso in cui l’attività di trasformazione o manipolazione riguardi beni che non rientrano fra quelli elencati nel citato decreto ministeriale, non essendo soddisfatto il requisito della prevalenza, esplicitamente richiesto dal menzionato art. 56 bis del Tuir, l’intero reddito prodotto costituisce reddito d’impresa da determinarsi analiticamente in base all’art. 56 del Tuir.

Attività rientranti tra quelle di cui al decreto 13.02.2015:
  1. rispetto della prevalenza – assoggettamento a reddito agrario dell’attività connessa;
  2. mancato rispetto della prevalenza – nel limite del doppio delle quantità prodotte in proprio dall’imprenditore agricolo o del valore normale delle stesse si ha reddito agrario, mentre, per l’eccedenza, il reddito sarà di impresa e quindi determinato analiticamente ex art. 56 del Tuir.
Attività non ricompresa nell’elenco di cui al decreto ministeriale:
  1. rispetto della prevalenza – tassazione forfettizzata ex articolo 56-bis, comma 2 Tuir (COEFFICIENTE DI REDDITIVITA’ DEL 15%);
  2. mancato rispetto della prevalenza – l’intero reddito è reddito di impresa.
Esempi

Nel caso dell’imprenditore agricolo che produce vini utilizzando anche uva acquistata presso terzi, ad esempio, è necessario, affinché possa mantenere lo status di imprenditore agricolo, che l’uva di produzione propria impiegata nel processo produttivo sia quantitativamente superiore a quella acquistata all’esterno.

In tal caso, quindi, l’intera attività di produzione e vendita del vino (effettuata anche attraverso la trasformazione di uva acquistata da terzi) viene qualificata come attività agricola e la tassazione viene regolata secondo le disposizioni che disciplinano il reddito agrario.

Nel caso di un imprenditore agricolo che trasforma uva nera di propria produzione e commercializza il vino rosso che ne deriva dopo un processo di imbottigliamento e che, contestualmente, acquista vino bianco da terzi già imbottigliato, il quadro fiscale è il seguente:

  • limitatamente all’attività di produzione di vino rosso, il produttore è qualificato quale imprenditore agricolo e i redditi che ne derivano sono considerati redditi agrari;
  • l’attività di vendita di vino bianco acquistato presso terzi (poiché non comporta alcuna attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione) è considerata attività commerciale, tassata secondo le disposizioni che regolano il reddito d’impresa.

In conclusione, le sole attività di conservazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti (uva o vino) acquistati presso terzi (poiché tali attività non vengono esercitate congiuntamente ad un processo di trasformazione o manipolazione) non possono essere assoggettate al regime di determinazione del reddito agrario previsto dall’art. 32 del Tuir, ma vengono attratte nel regime di determinazione del reddito d’impresa.

Nel caso in cui un soggetto si occupi dell’acquisto di uve presso un imprenditore agricolo per la successiva rivendita al pubblico l’attività che ne risulta si qualifica come attività commerciale e, in quanto tale, assoggettata alle regole di determinazione del reddito d’impresa.

Della stessa natura è il reddito che si origina dalla vendita di vino ottenuto dalla trasformazione di uve acquistate interamente presso terzi; in tale ipotesi, infatti, il soggetto che produce vino non svolge alcuna attività di natura agricola, né diretta (coltivazione del fondo), né connessa (produzione di vino con uva ottenuta prevalentemente dalla coltivazione del fondo svolta in prima persona), per cui mancano i presupposti affinché tornino applicabili le regole di determinazione del reddito agrario di cui all’art. 32 del Tuir.

Ne deriva che l’attività in questione viene tassata secondo le disposizioni che regolano il reddito d’impresa. Di tipo commerciale è, inoltre, l’attività di vendita al pubblico di vino in bottiglia o alla mescita, quale l’attività esercitata dai commercianti al dettaglio o dalle enoteche.

Anche in tale fattispecie, il reddito che ne deriva si qualifica come reddito d’impresa e segue, ai fini della tassazione diretta, le specifiche regole contenute nel Tuir.

Le attività con reddito d’impresa a determinazione forfetaria

Si applica l’art. 56-bis, c. 2, del D.P.R. 22/12/1986, n. 917, e non la tariffa di reddito agrario se le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli hanno per oggetto prodotti che sono ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento del bestiame ma che sono diversi da quelli elencati nel D.M. 13/2/2015.

In questo caso il reddito è determinato applicando il coefficiente di redditività del 15% sull’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate (o soggette a registrazione) ai fini dell’IVA8.

L’ articolo 56-bis del Tuir, prevede una tassazione agevolata mediante l’applicazione di un coefficiente di redditività da applicare all’ammontare dei corrispettivi conseguiti.

Si tratta, in particolare:

  • delle attività connesse relative a prodotti non inclusi tra quelli indicati nel decreto ministeriale D.M. 13/2/2015, cui si applica il coefficiente di redditività del 15%;
  • delle attività dirette alla fornitura a terzi di servizi effettuate mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola principale, cui si applica il coefficiente di redditività del 25%.
I prodotti di terzi: reddito agrario o reddito d’impresa 

Le attività di trasformazione e commercializzazione svolte dall’imprenditore agricolo, possono avere per oggetto anche prodotti acquistati da terzi, alla condizione che:siano prevalenti9 i prodotti propri,;appartengano al medesimo comparto produttivo di quelli realizzati in proprio (es. zootecnico, carne o latte; orticolo; frutticolo…)10.

Per i prodotti agricoli acquistati da terzi e commercializzati , manca la connessione con l’attività agricola principale esercitata per cui il reddito si determina mediante la differenza tra i ricavi ed i costi cioè secondo quanto è disposto dall’art. 56 del Tuir.

La semplice commercializzazione di prodotti altrui è del tutto priva di ogni legame di strumentalità e complementarietà con l’attività di coltivazione del fondo o di allevamento ; pertanto essa non ha natura agricola(11).

Al contrario la trasformazione del proprio prodotto con l’aggiunta anche di prodotti di terzi necessari per miglioralo , assume una funzione strumentale all’attività di produzione .

Ha natura agricola la trasformazione del vino anche con l’aggiunta di altro vino acquistato in misura non prevalente presso terzi.

Analogamente la produzione di conserve o di marmellate giustifica l’acquisto all’esterno di prodotti. Invece per un florovivaista la rivendita di piante e fiori acquistati presso terzi, senza che si sia verificato un incremento qualitativo ha sempre natura commerciale poiché e’ inverosimile che i prodotti propri non fossero vendibili senza la commercializzazione di altri prodotti.

L’attività di manipolazione può conferire tuttavia al prodotto natura agricola; quindi se il produttore acquista piante e poi procede allo svasamento , alla potatura ovvero se attribuisce alla pianta una forma diversa l’attività ha natura agricola.

Nella circ. n. 44/E del 15 novembre 2004, l’Agenzia delle entrate cita l’esempio del produttore di radicchio che acquista radicchio da terzi e, dopo la pulitura ed il confezionamento, lo rivende insieme a quello proprio.

Utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa

Nell’attività dell’impresa agricola rientrano, oltre alla coltivazione del fondo, anche le lavorazioni connesse(12), complementari ed accessorie dirette alla trasformazione ed alienazione dei prodotti agricoli, purché, però, sia riscontrabile uno stretto collegamento fra l’attività agricola principale e quella di trasformazione dei prodotti, come finalizzata all’integrazione od al completamento dell’utilità economica derivante dalla prima secondo il naturale svolgimento del ciclo produttivo.

Si deve, invece escludere questo vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale quando l’attività dell’imprenditore, oltre a perseguire finalità inerenti alla produzione agricola, risponda soprattutto ad altri scopi, commerciali o industriali, e realizzi quindi utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa (Cass., sez. un., 13 gennaio 1997, n. 265; Cassazione 21 gennaio 2013, n. 1344).

Ai fini tributari, l’attività di commercializzazione dei prodotti svolta da un’impresa, per essere considerata agraria per connessione, deve riguardare, almeno prevalentemente, i prodotti propri dell’impresa agricola e non assumere dimensioni tecnico-organizzative tali da assurgere ad attività del tutto autonoma; in nessun caso, inoltre, l’attività di commercializzazione di prodotti acquistati da terzi può considerarsi agraria per connessione, se su detti prodotti l’imprenditore, prima di operarne la rivendita, non esegua alcun intervento (ad esempio, di manipolazione o di trasformazione) idoneo ad inserire in qualche modo i prodotti stessi nel proprio ciclo intermediario per la collocazione sul mercato di prodotti di altri imprenditori, realizzando utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa (Cass. 10 aprile 2015, n. 7238).

Onere probatorio

Spetta al fisco l’onere prima di allegare e provare nel giudizio di merito che l’attività di commercializzazione di prodotti di terzi è prevalente e/o che l’attività di lavorazione e commercializzazione dei prodotti dei soci travalichi i limiti previsti, realizzando utilità indipendenti o prevalenti rispetto all’attività agricola.

29 settembre 2017

Isabella Buscema

NOTE

12 Macellazione di animali allevati prevalentemente sul proprio fondo; trasformazione di frutta e di pomodori in conserve; trasformazione delle mele in sidro; trasformazione dell’uva e frutta in marmellata; raffinamento dell’olio; macellazione e vendita di carni; raffinazione e confezione di cera e miele; brillatura del riso; pastorizzazione, imbottigliamento del latte; trasformazione in carbone del legname proveniente dal taglio dei propri boschi.

Società Agricole: i tre requisiti fondamentali

Anche l’attività agricola, che nella maggior parte dei casi ancora si svolge attraverso la forma della ditta individuale o dell’azienda familiare, si è evoluta e adeguata alle strutture societarie già presenti nel nostro ordinamento.

Vediamo di seguito quali sono le possibilità a disposizioni degli agricoltori, nel caso in cui quest’ultimi decidono di svolgere la loro attività in forma aggregata o con una più elevata tutela della responsabilità personale.

Le società agricole possono essere costituite nella forma di società di persone (società semplici, s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperative, e per essere qualificate come tali devono essere sempre presenti tre requisiti. Due requisiti sono di carattere formale, riguardano il contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto, mentre il terzo requisito, di natura sostanziale, riguarda le persone dei soci o degli amministratori.

IL PRIMO REQUISITO

La società agricola deve avere come oggetto esclusivo l’esercizio dell’agricoltura e delle attività connesse. Tali attività sono individuate dall’art. 2135 del codice civile e tra quest’ultime rientrano la coltivazione del fondo, la silvicoltura, l’allevamento di animali e tutte le attività connesse. Secondo il suddetto articolo, per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono tutte le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Per quanto riguarda invece le attività connesse, quest’ultime sono individuate in:

  • le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali;
  • la fornitura di beni o servizi utilizzando prevalentemente le attrezzature o risorse dell’azienda agricola;
  • l’agriturismo.

Al riguardo, l’articolo 36, comma 8, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, ha modificato l’art. 2 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, precisando che non costituiscono distrazione dall’esercizio esclusivo delle attività agricole le attività commerciali, industriali, ipotecarie e immobiliari a patto che siano finalizzate a migliorare l’attività agricola. Per questo motivo, secondo la circolare 50/E 2010 dell’Agenzia Entrate la società che effettui attività di locazione, comodato e affitto di immobili per uso abitativo, oppure terreni e fabbricati a uso strumentale delle attività agricole, resta agricola se queste attività sono marginali, con entrata non superiori al 10% del ricavo complessivo.

IL SECONDO REQUISITO

Il legislatore ha previsto la possibilità, per tutte le società, di qualificarsi come società agricola. Risulta obbligatorio che questo sia messo in evidenza con l’obbligatoria indicazione nella ragione o denominazione sociale del termine “società agricola.

IL TERZO REQUISITO

L’ultimo requisito, di carattere sostanziale, si differenzia in base al modello societario prescelto.

A secondo che la scelta ricada tra il modello della società di persone o quello della società di capitali, vanno rispettati differenti disposti normativi. Vediamo le differenze.

Nelle società di persone almeno uno dei soci deve essere in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP) o coltivatore diretto (CD). I rimanenti soci non devono essere necessariamente agricoltori, indipendentemente dal loro numero. Nel caso in cui si tratti di società in accomandita semplice (s.a.s.) va specificato che almeno un socio accomandatario deve essere qualificabile come imprenditore agricolo professionale.
Nelle società di capitali deve possedere il requisito dell’imprenditore agricolo professionale o del coltivatore diretto almeno un amministratore. Vista la possibilità che, nelle società di capitali, gli amministratori possano anche non essere soci, potremmo avere una società agricola in cui nessuno dei soci è un agricoltore. Anche nel caso in cui la società sia unipersonale, la presenza di almeno un amministratore con i suddetti requisiti, permette alla società di maturare la qualifica di società agricola e l’accesso alle agevolazioni connesse.

Passando alle società cooperative, in questa tipologia di società è richiesto che almeno un amministratore, che sia anche socio, abbia la qualifica di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto.

Va specificato che, secondo l’art. 1 comma 3-bis, del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99 la qualifica di imprenditore agricolo professionale può essere apportata dall’amministratore a una sola società, per evitare quella che potrebbe essere la fittizia creazione di cariche amministrative al solo fine di ottenere le agevolazioni spettanti alle società agricole.

Per quanto riguarda invece il ruolo dell’amministratore al fine di maturare i requisiti richiesti alle società agricole, vale la pena soffermarsi sull’interpretazione che emerge dalla risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale dell’Emilia Romagna, all’interpello n. 909-216/2006, prot. 909-32505/2006 datata 20 luglio 2006. L’amministratore in possesso dei requisiti di IAP o CD, consente la qualificazione della società come “agricola” nelle sole società di capitali e cooperative. Al contrario, nelle società di persone, la qualifica di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto deve essere presente in capo ad almeno uno dei soci. La differenza fondamentale quindi sta nel fatto che, nelle società di persone, il socio qualificato come IAP o CD, può non essere amministratore ma garantire comunque il requisito sostanziale alla società agricola.

Augurandoci di aver chiarito quali sono i requisiti che devono essere necessariamente rispettati dalle società per essere qualificate come agricole, si ribadisce come quest’ultimi risultino fondamentali per accedere a tutte le agevolazioni garantite al mondo agricolo, nel passato riservate agli imprenditori agricoli individuali.

manuale di autodifesa fiscale

Manuale di autodifesa fiscale

ad uso di lavoratori autonomi – non subordinati e non imprenditori

Il lavoratore autonomo: art.2222 codice civile

Una persona in carne ed ossa, senza alcuna registrazione presso l’agenzia delle entrate, puo’ lavorare in autonomia senza aderire ad alcuna organizzazione d’impresa. Puo’ lavorare da sola, senza collaboratori di alcun tipo, senza aver frequentato alcun corso, utilizzando macchinari propri. Non avendo partita iva non emette fattura. Se lavora per un’impresa (sostituto d’imposta) lavora in ritenuta d’acconto.

Non trovano più applicazione da tempo i limiti economici e di durata previsti dalla c.d. “Legge Biagi” (D.Lgs. n. 276/03, modificato dall’articolo 24 del D.L. n. 201/2011 c.d. “Legge Fornero“), ovvero durata max. di 30 giorni per committente nell’anno e max. 5.000 euro lorde di compensi. Tale disposizione, infatti, è stata abrogata a partire dal 25 giugno 2015, giorno di entrata in vigore del D.Lgs. 81/2015. Ad oggi, quindi, l’unico riferimento normativo è dato dall’art. 2222 del codice civile.

I redditi prodotti, sotto il profilo fiscale, vanno inseriti in dichiarazione alla voce “redditi diversi”.

Questo vale per la generalita’ dei lavori effettuabili da un singolo lavoratore autonomo

(carpenteria in legno, ferro, edilizia, costruzione muri a secco, fare un sito internet, senza organizzazione di impresa. Sono preclusi ad esempio il trasporto su gomma, il conferimento di rifiuti in discarica conto terzi per cui serve un formulario non rilasciabile ai lavoratori autonomi)

a che serve l’impresa?

Diverso e’ il caso della collaborazione tra piu’ soggetti per raggiungere uno scopo, o la condivisione di attrezzatura e macchinari. Fino a che un soggetto utilizza i propri macchinari, non ci sono problemi per quanto riguarda la sicurezza (posto che i macchinari siano revisionati). Ma ad esempio prestare un macchinario ad un terzo dal punto di vista della sicurezza pone dei problemi.

Anche collaborare all’interno di un cantiere pone dei problemi relativi alla sicurezza, le mansioni dei lavoratori autonomi devono essere infatti rigidamente separate per essere a posto con la normativa. E quando non lo sono, ad esempio per necessita’ del cantiere, si rende necessaria un’organizzazione di impresa, per coordinare i vari lavoratori (autonomi) nel rispetto delle normative di sicurezza.

Corsi e ricorsi

Sfatiamo, una volta per tutte, tante leggende relative ai corsi di formazione.

Questi sono obbligatori per i lavoratori dipendenti in quanto servono a “parare le terga” ai datori di lavoro in caso di incidente. Se un lavoratore dipendente si facesse male e non avesse il corso relativo alla mansione oggetto di incidente, sarebbero guaj seri … per il datore di lavoro. Mentre se il corso era “regolare” (corso online, o in presenza, “fuffa” ma con regolare attestato) allora meno problemi si pongono per il datore… i corsi in buona sostanza servono a tenere il culo al caldo ai datori e con una nozione reale di “sicurezza” non hanno molto a che vedere, specialmente dall’era covid in avanti in cui i corsi online “fuffa” sono parificati ai corsi in presenza.

L’attenzione alla sicurezza sul lavoro viene dalla formazione reale e non da quella fittizia. (da una conversazione avuta con un ispettore del lavoro)

Un lavoratore autonomo ha facolta’ di seguire i corsi obbligatori per i dipendenti. (D.lgs 81/08)

Nel caso di lavoratori autonomi, che tengono alla loro ghirba, il non avere datori di lavoro implica non avere orari stressanti o ritmi allucinanti. Gia’ questo li tiene alla larga da una serie non irrilevante di incidenti.

Quando un lavoratore autonomo non inserito in un’organizzazione di impresa si fa male, non ha alcuna copertura infortunistica.

Quando lavoratori autonomi si uniscono in cooperativa, collaborano all’organizzazione di impresa. Stipulano un’assicurazione infortunistica (inail) e nella cooperativa a cui hanno dato vita, tra le prime cose che dovranno fare e’ formarsi sul tema della sicurezza relativamente alle mansioni che via via potranno svolgere, sempre nel rispetto dell’autonomia decisionale dei singoli. Soci con capacita’ specifiche le condivideranno con chi ha meno esperienza, in un percorso di formazione reale. La sostanza di questa formazione reale dovra’ anche essere formalizzata, in modo da poterla esibire in caso di bisogno agli organi inquirenti… Cercare di coniugare forma e sostanza e’ sempre la bussola da seguire per evitare incomprensioni.

Una cooperativa di lavoratori autonomi e’ un’impresa in cui i soci decidono insieme quali cantieri aprire, ognuno da le proprie disponibilita’ per i diversi cantieri. Le specificita’ ed attitudini di ognuno si compongono insieme per ottenere il migliore risultato, nell’interesse della cooperativa – e dei soci.

Lavori agricoli

Chi effettua lavorazioni agricole genera reddito agrario e non reddito di impresa. Fino a 7000 euro di reddito agrario l’anno non vi sono obblighi di registrazione presso l’agenzia delle entrate, nessuna partita iva, nessuna iscrizione inps o inail.

Non avendo partita iva, non si puo’ fatturare. Se vendiamo i nostri prodotti o servizi agricoli ad un’impresa, questa dovra’ emettere autofattura indicando i nostri dati fiscali. Sulla base delle autofatture si dedurra’ l’eventuale superamento dei 7000 euro l’anno – i limiti dell’esonero contributivo-, ma per la vendita diretta non ci sono particolari adempimenti da seguire a parte tenere un registro (cartaceo) con le ricevute di vendita.

A questo reddito agrario potremmo (ma devo verificarlo) aggiungere altri 5000 euro di lavoro autonomo senza doverci iscrivere a nulla. Superati i 5000 euro di lavoro autonomo va fatta l’iscrizione all’inps – gestione separata – per il versamento dei contributi previdenziali. Non essendo il lavoratore autonomo tenuto all’iscrizione al registro delle imprese, non essendoci dunque organizzazione di impresa, non c’e’ un minimale contributivo annuo come invece accade per qualsiasi lavoratore autonomo “artigiano”, “commerciante” o “coltivatore diretto”.

I professionisti iscritti alla gestione separata pagano in base al fatturato, e gli vengono conteggiati ai fini della pensione i mesi versati…