Il tempo della reclusione “volontaria” avanza e si dilata a dismisura

Condividiamo questo scritto ricevuto in aprile.

Quella che era stata spacciata per prevenzione si rivela essere, sempre più chiaramente, una tecnica di *addomesticamento*.
La prima, infatti, mette immediatamente in campo tutte le misure realmente efficaci, quindi necessarie, per anticipare ed evitare il diffondersi delle patologie; l’addomesticamento, invece, presuppone la gradualità dell’addestramento, fino ad ottenere la totale obbedienza e sottomissione.

Ci hanno infantilizzate/i in base ad un concetto distorto che vede i bambini non come esseri dotati di propria autonomia ma come figli su cui esercitare la propria autorità e ci hanno ammorbate/i con continui consigli su come trascorrere il nostro tempo blindato – cosa leggere,
come scopare, cosa cucinare, come vestirsi, quanto dormire, cosa cantare e a che ora, come e quando lavarsi le mani, …

Hanno dispiegato apparati di controllo e repressione costosissimi – polizie, eserciti, droni, elicotteri, guardie costiere, telecamere, e varie altre amenità – contro chi “si permette” di fare un po’ di movimento all’aperto, di portare il proprio figlio a prendere un po’ d’aria, di salutare un’amica, di comprarsi una matita, di fermarsi per strada ad annusare un fiore, di guardare un tramonto, di commemorare le partigiane e i partigiani (ormai diventato un reato di “resistenza”

<https://radiocane.info/milano-cronaca-25-aprile quarantena/>)

e perfino di sudare
<https://iltirreno.gelocal.it/versilia/cronaca/2020/04/26/news/rischia-di-prendere-una-multa-perche-era-sudata-sulla-strada-1.38762193>!

Hanno sollecitato la pratica infame della delazione ripescandola dal ventennio fascista e ora arrivano, con una rinnovata *polizia dell’anima*, a cercare di *violare definitivamente la nostra intimità invadendo la nostra sfera relazionale* e stabilendo chi potremo vedere e chi no nella pagliacciata che chiamano “fase 2″ – e che in realtà
dovremmo chiamare “fase che 2 ovaie!” (grazie, Giò, per questo geniale *detournement*!).

Ed ecco riemergere il clerico-fascismo “mai morto” (proprio come suona il motto della X Mas!) che (im)pone al centro delle nostre vite *‘a famigghia*: ci dicono che potremo vedere i parenti – se pure con misura e senza riunioni familiari. Ma guai se ci si incontra con chi pare a
noi!

Adesso basta!

Nessuno riuscirà mai a disciplinarmi né ad immiserirmi in questa logica familista, di cui si nutre anche lo *ius sanguinis*! Io voglio vedere le mie amiche, le mie compagne di vita, e le vedrò (una l’ho già riabbracciata, tiè!).

I miei genitori sono morti da decenni, grazie a questa “civiltà” cancerogena, e dei legami di parentela rimasti ne faccio volentieri a meno. C’è, per me, una differenza fondamentale tra la parentela – che è casuale – e le relazioni che, invece, mi sono scelta e mi hanno nutrita negli anni, come c’è un abisso tra la *vera sorella* e la *sorella vera*.

Quando, nel 2016, ho attraversato l’esperienza del cancro e mi avevano pronosticato pochi mesi di vita, accanto a me ho voluto le mie compagne di vita e le mie relazioni autentiche. Non i parenti. La forza di queste relazioni è stato uno degli elementi della mia guarigione – “guarigione miracolosa”, a detta dei medici.

A differenza dei preti, non credo nei miracoli ma nella forza dell’autodeterminazione, di quel grande dono che il movimento delle donne mi ha fatto quando ero adolescente!

Quella stessa autodeterminazione, che di fronte ad una prognosi infausta ha guidato le mie scelte terapeutiche, alimentari, lavorative, esistenziali e relazionali, oggi è più forte che mai.

Non mi sono fatta sovradeterminare dalla paura del cancro, non vedo perché dovrei farmi sovradeterminare da quella del covid, che cercano in tutti i modi di instillarci.

In Italia il cancro è la seconda causa di morte. Non lo dico io, ma le statistiche
<http://www.nicolettapoidimani.it/wp-content/uploads/2020/04/C_17_notizie_3897_0_file.pdf>
.
Quali governanti si sono mai preoccupati di rendere questa società meno cancerogena?
Nessuno. Perché la scelta è sempre tra il profitto e la vita altrui dal punto di vista del capitale, e tra il pane e la propria vita – intesa come qualità della vita e non come mera sopravvivenza – dal punto di vista del lavoro.

Nel 1976 abitavo accanto a Seveso <http://www.nicolettapoidimani.it/wp-content/uploads/2020/02/Atti_TOPO.pdf> e, come me, decine di migliaia di persone. Andassero a vedere l’incidenza del cancro in chi abitava o ancora abita quelle zone, lor signori che oggi pretendono “in nome dalla scienza” di decidere al
posto nostro cosa sia “salutare” e cosa no.
E a cosa è servita la “direttiva Seveso”? La riposta è a Taranto, nella “terra dei fuochi”, a Carrara e in numerose altre zone di questo paese, così come in questo intero pianeta *spolpato dai predatori* – come direbbe Toni Morrison – e da quegli stessi predatori avvelenato.

La mia laica *pietas* non può essere solo nei confronti dei morti per covid-19, per altro causati in gran parte dall’inettitudine, dagli intrallazzi e dalle politiche dei vari governi locali e nazionali – si veda il caso dello sterminio di anziani nelle Rsa.

La mia laica *pietas* ha urlato davanti all’impossibilità di abbracciare per l’ultima volta un caro amico in fin di vita – non per covid, perché si continua a morire anche per altre ragioni sia chiaro!

Mai come davanti alla sua morte ho sentito il peso di questa reclusione forzata che diventa lontananza straziante dagli affetti e dalla condivisione anche del dolore e del lutto, che sono la cifra dell’umano.

Allora si fottano lor signori col loro linguaggio bellico di fronte alle malattie. Per me nemmeno il cancro è stato un nemico da combattere, ma un modo in cui il mio corpo chiedeva di essere ascoltato e, al contempo, indicava
i veri nemici nei predatori e negli avvelenatori della terra.

E si fottano ancor più, lor signori, con le loro direttive e con l’insopportabile ed ipocrita arroganza di stabilire per me quale sia “il mio bene”.

Il mio bene è autogestire la mia salute. Il mio bene è tornare ad abbracciare le mie amiche, a condividere con le mie compagne di vita. Il mio bene è annusare il profumo della primavera e contemplare le montagne. Il mio bene è continuare a lottare contro l’ingiustizia sociale. Il mio bene è nella mia etica e nelle mie relazioni.

Sono femminista. Mettetevelo bene in testa: la vita è mia e me la gestisco io!

Una riflessione sulla chiacchierata fatta al Circolo su Lesbo

L’isola di Lesvos dista 4 miglia dalla costa Turca, e parecchie miglia dalle isole piu’ vicine. E’ un’isola abitata da circa 80mila persone, e dimora di una decina di milioni di piante di ulivo.

Grande circa il doppio dell’isola d’Elba, in questi anni e’ finita nelle cronache per il suo ruolo chiave nello spostamento di masse di diseredati. Dalla Turchia premono per entrare nella “fortezza Europa” persone provenienti da tutti i paesi in cui il ruolo dell’occidente nell’esportare democrazia si e’ svolto primariamente in ambito militare.

Masse di profughi si riversano verso quel sogno europeo in fretta ribattezzato “Eutopia”, pedine di giochi politici e umanitari globali.

Parrebbe che per la cifra di 20.000 euro i trafficanti li imbarchino dalla Turchia con destinazione Lesvos, uno degli ingressi per la fortezza europa. Alle emittenti televisive turche gli scafisti intervistati dichiarano di farlo a titolo gratuito… per levarceli di torno.

A Lesvos e’ stato allestito un campo, aperto, che puo’ ospitare 25mila persone, con una piccola prigione (capienza 150 persone circa) all’interno.

Centinaia di ONG, Eurorelief in testa (mormoni?), si
alternano sul campo. La gestione dell’assistenza assicura la piena integrazione alla logica di mercato: mentre 25000 persone vengono costrette in una unica coda per elemosinare un pasto al giorno, allo stato rimane da amministrare la pratica burocratica. La gestione della
sicurezza e’ affidata all’agenzia europea Frontex.

I tentativi di portare aiuto fuori dalla logica dell’assistenza si devono scontrare con le molteplici organizzazioni neo-naziste europee, spesso aiutate dalla polizia, che si rendono protagoniste di agguati.

Ne citiamo uno degno di nota: Un cordone di polizia circonda un campo di profughi afghani. Da dietro il cordone, per ben 8 ore sono continuati lanci di pietre su queste famiglie afghane, protette dalla lapidazione da drappi e lenzuola stese.

In Turchia, dove non ci sono campi, e’ prevista unicamente la detenzione, fino ad un anno. Scaduto il termine, viene il conseguente “liberi tutti”, cui puoi accedere anzitempo con la classica cagnotta.

Il conseguimento, per quei pochi che riescono a fare la “carriera burocratica”, dello status di rifugiato porta all’ottenimento di un passaporto azzurrino che non ha alcun valore fuori dall’Europa.

Rifugiati a vita, in attesa di essere presi in carico dai nuovi “datori di diritti civili”. Meccanismi gestiti e controllati dalla commissione per le migrazioni dell’unione europea, mentre in Europa si leva il risentimento verso gli “irregolari”, rei di non poter accedere a titoli di viaggio che vengono loro negati.

Fermarsi ad invocare il rispetto della legge dei padroni testimonia l’irrimediabile sprofondamento nell’abisso della barbarie chiamata civilta’. L’umanita’ intera sta andando a farsi fottere.

Quella che giunge da ogni dove, con la rapida dissoluzione dei legami comunitari, e’ una chiamata all’assunzione di responsabilita’ individuale. Che ogni singolo ritorni a rispecchiarsi nel prossimo, chiarendo le idee su affinita’ e divergenze.

Occorre radicalizzare l’empatia per arginare il mostro sociale che avanza.