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A proposito delle anime belle

A proposito delle anime belle

Qualche intellettuale di sinistra di fronte al rischio di una imminente terza guerra mondiale e all’orrore dispiegato da troppo tempo si sta interrogando da qualche mese sull’ipotesi della diserzione e si chiede se è questa l’unica via che ci rimane.
Sì, disertare si può e anche si deve se, come mi pare stia accadendo ovunque, la guerra è diventata la fonte più sicura per fare profitti. Disertare si può e si deve, se è un atto coraggioso come i ragazzi e le ragazze israeliane che rifiutano l’arruolamento nell’esercito di Israele perché non condividono la logica dell’Occupazione rischiando carcere e ostracismo. Disertare si può e si deve anche a parole o per iscritto quando costa qualcosa, quando non si cerca l’applauso, quando si portano argomenti che muovono in direzione della verità. Non si può, invece, fare gli agnelli o i falchi da poltrona.
Non si può, neanche, condividere l’idea che la quantità non incida sulla qualità nell’esprimere un giudizio quando si tratta, di 75 anni dall’espulsione di un gran numero di popolo, di 56 anni di occupazione, di 7000 o 9000 morti, di 1000 sepolti dalle maceria che nessuno potrà cercare di estrarre. Quando si parla di 1milione e 400.000 sfollati e neanche quando si conteggiano più di 500.000 coloni (tra Cisgiordania, Gerusalemme est e nella cosiddetta terra di nessuno) che hanno occupato, abusivamente, terre non loro. Quando, come nel più spietato Medio evo, si mette in assedio totale una città di più di due milioni di persone; quando si bombarda una popolazione chiusa dentro un recinto da cui non si può scappare, dove non c’è via di scampo. Quando si nega l’acqua, la luce, il pane e si rade al suolo mezza città incominciando dagli ospedali.
Non mi piace Hamas che uccide giovani a un rave ma penso anche che qualcuno a questi ragazzi avrebbe dovuto spiegare che non si balla vicino ad Aushwitz. Ma soprattutto, guarda un po’ il caso, ci si ricorda dei palestinesi solo dopo che Hamas ha sparso sangue nel deserto. Non potevamo accorgercene prima, prima di fomentare l’odio, prima delle centinaia di palestinesi uccisi ogni anno, prima che Hamas ci ricordasse con la sua violenza partigiana che Israele è anche un esercito di occupazione; prima di finanziare gruppi estremisti per distruggere il progetto di una Palestina, prima di corrompere i dirigenti dell’Olp per lederne la credibilità, prima magari di avvelenare Arafat.
Si poteva e doveva disertare, forse, ai tempi della caduta del muro di Berlino, evitare l’acclamazione del liberalismo come unico progetto possibile e degli Usa quale nuovo gendarme mondiale con diritto a difendere i suoi affari e le sue guerre, a cominciare da quella nella ex-Jugoslavia e via andare, dal Desert storm in poi, sino all’Afganistan e oltre. Non per schierarsi dalla parte dell’Urss che doverosamente implodeva ma per mettere in giro anticorpi contro lo strapotere del business, degli affari e di una propaganda unidirezionale.
E allora si può fare le anime belle e scoprire che lo Stato (quello dei palestinesi però) è una brutta bestia ma nello stesso tempo schierarsi, senza se e senza ma, con gli Ucraini perché combattono per la difese dell’integrità del loro Stato. Un’intellettualità democratica e occidentale strabica che in Medio oriente condanna chi è stato occupato perché osa opporsi all’occupante e in Europa finanzia a colpi di milioni di dollari uno Stato per vuol mantenere saldi i suoi confini. E dovremmo credere all’imparzialità dell’informazione? Pensate veramente che l’opinione pubblica sia così colonizzata nel cervello da aver completamente perso la capacità critica?
La guerra fa schifo, la guerra è violenta e spietata, sempre, chiunque la faccia. La guerra ha le sue ragioni del torto o della ragione ma a morire sono sempre i popoli. Viene da pensare, purtroppo, che si risvegli l’attenzione dei “colti” solo se ad agire è il potere o il rombo del cannone.
La guerra di Hamas è spietata ma fino a che non c’è stata nessuno si ricordava, tra i potenti, gli intellettuali e i giornalisti (e parliamo dell’Italia), che in quella terra tragica avrebbero dovuto esserci due Stati e due popoli. Basta guardare le cartine dal 1947 ad oggi per capire cosa è successo da quelle parti: un lento stillicidio di morti e di espulsione.
Ci sono voluti i parapendii di Hamas perché ci si accorgesse di questo! Ma allora chi l’ha voluta la guerra? Hamas o l’ipocrisia dell’Occidente?
Gli esangui intellettuali italiani di sinistra cosa facevano sino ad oggi. Quella lunga catena di morti, di case distrutte, di uliveti divelti, di acqua negata forse era diventata noiosa, durava da troppo tempo per essere una notizia interessante. Un fastidio per tutti, occidentali e arabi, cristiani e mussulmani. E adesso per giustificare questa lunga distrazione si scopre il Rojava, senza dire che anche lì si combatte, che anche lì i militanti vengono uccisi dallo Stato. Erdogan, che ha i piedi in mille scarpe e gioca sporco in quell’area per le sue mire di grandeur ottomana, non è “il nostro dittatore” quando denuncia i massacri di Gaza (per i propri interessi geopolitici), lo diventa solo quando ferma quell’enorme massa di sfollati che queste guerre hanno creato e “protegge” (sarebbe meglio dire “ricatta”) l’Europa. Quando bombarda i curdi e arresta gli oppositori è più semplice voltare la faccia da un’altra parte. Rojava non diserta, Rojava è partigiana. Il suo orizzonte è un altro paradigma, la fine dello stato-nazione inteso come la forma politica su cui si fonda il patriarcato. Un paradigma degno, l’unico possibile per uscire da una catena di massacri che attraversa il pianeta.
Ma voglio prendervi sul serio signori della stampa, credere che le vostre affermazioni siano in buona fede, che il vostro rigetto della guerra e del sangue sia profondo e sincero, e allora battetevi per la liberazione di Abdullah Ocalan, che è al carcere duro da 26 anni, perché da lui è partita questa unica speranza per un pianeta saturo di miasmi cattivi. Battetevi per la fine dei bombardamenti sull’esperienza democratica delle donne curde che nutrono questa speranza con la loro determinazione, con la loro intelligenza, con il loro sangue.
Perché se si svicola sempre davanti alla realtà, se vediamo solo quello che ci fa comodo vedere e quando ci fa comodo vederlo, i colpevoli siete voi. Siete voi che nutriti la violenza, voi che non date ascolto al dolore dei popoli, voi che alimentate la disperazione.
Il dolore va ascoltato per tempo, prima che diventi crudeltà.
Bisogna saper andare oltre i reciproci fondamentalismi e piangere per le vittime di Gaza e anche per Israele che rischia di perdere la sua anima. Non tutto però è perduto finché esistono, e so che ci sono in Israele, donne straordinarie come le due ostaggi liberate tre giorni fa per ragioni umanitarie Yocheved Lifshitz e Nuret Cooper. Bellissima Yocyeved capace di stringere la mano e sorprendere il suo sequestratore, accomiatandosi da lui con un’unica parola, “Shalom”. Sono certa che ce ne sono anche a Gaza di donne potenti come lei. Perché la pace si fa con il nemico.
Altro che “Pausa” : CESSATE IL FUOCO
Shalom, Salam, Peace, Paix, Paz, Pace.

Rosella

Il tempo della reclusione “volontaria” avanza e si dilata a dismisura

Condividiamo questo scritto ricevuto in aprile.

Quella che era stata spacciata per prevenzione si rivela essere, sempre più chiaramente, una tecnica di *addomesticamento*.
La prima, infatti, mette immediatamente in campo tutte le misure realmente efficaci, quindi necessarie, per anticipare ed evitare il diffondersi delle patologie; l’addomesticamento, invece, presuppone la gradualità dell’addestramento, fino ad ottenere la totale obbedienza e sottomissione.

Ci hanno infantilizzate/i in base ad un concetto distorto che vede i bambini non come esseri dotati di propria autonomia ma come figli su cui esercitare la propria autorità e ci hanno ammorbate/i con continui consigli su come trascorrere il nostro tempo blindato – cosa leggere,
come scopare, cosa cucinare, come vestirsi, quanto dormire, cosa cantare e a che ora, come e quando lavarsi le mani, …

Hanno dispiegato apparati di controllo e repressione costosissimi – polizie, eserciti, droni, elicotteri, guardie costiere, telecamere, e varie altre amenità – contro chi “si permette” di fare un po’ di movimento all’aperto, di portare il proprio figlio a prendere un po’ d’aria, di salutare un’amica, di comprarsi una matita, di fermarsi per strada ad annusare un fiore, di guardare un tramonto, di commemorare le partigiane e i partigiani (ormai diventato un reato di “resistenza”

<https://radiocane.info/milano-cronaca-25-aprile quarantena/>)

e perfino di sudare
<https://iltirreno.gelocal.it/versilia/cronaca/2020/04/26/news/rischia-di-prendere-una-multa-perche-era-sudata-sulla-strada-1.38762193>!

Hanno sollecitato la pratica infame della delazione ripescandola dal ventennio fascista e ora arrivano, con una rinnovata *polizia dell’anima*, a cercare di *violare definitivamente la nostra intimità invadendo la nostra sfera relazionale* e stabilendo chi potremo vedere e chi no nella pagliacciata che chiamano “fase 2″ – e che in realtà
dovremmo chiamare “fase che 2 ovaie!” (grazie, Giò, per questo geniale *detournement*!).

Ed ecco riemergere il clerico-fascismo “mai morto” (proprio come suona il motto della X Mas!) che (im)pone al centro delle nostre vite *‘a famigghia*: ci dicono che potremo vedere i parenti – se pure con misura e senza riunioni familiari. Ma guai se ci si incontra con chi pare a
noi!

Adesso basta!

Nessuno riuscirà mai a disciplinarmi né ad immiserirmi in questa logica familista, di cui si nutre anche lo *ius sanguinis*! Io voglio vedere le mie amiche, le mie compagne di vita, e le vedrò (una l’ho già riabbracciata, tiè!).

I miei genitori sono morti da decenni, grazie a questa “civiltà” cancerogena, e dei legami di parentela rimasti ne faccio volentieri a meno. C’è, per me, una differenza fondamentale tra la parentela – che è casuale – e le relazioni che, invece, mi sono scelta e mi hanno nutrita negli anni, come c’è un abisso tra la *vera sorella* e la *sorella vera*.

Quando, nel 2016, ho attraversato l’esperienza del cancro e mi avevano pronosticato pochi mesi di vita, accanto a me ho voluto le mie compagne di vita e le mie relazioni autentiche. Non i parenti. La forza di queste relazioni è stato uno degli elementi della mia guarigione – “guarigione miracolosa”, a detta dei medici.

A differenza dei preti, non credo nei miracoli ma nella forza dell’autodeterminazione, di quel grande dono che il movimento delle donne mi ha fatto quando ero adolescente!

Quella stessa autodeterminazione, che di fronte ad una prognosi infausta ha guidato le mie scelte terapeutiche, alimentari, lavorative, esistenziali e relazionali, oggi è più forte che mai.

Non mi sono fatta sovradeterminare dalla paura del cancro, non vedo perché dovrei farmi sovradeterminare da quella del covid, che cercano in tutti i modi di instillarci.

In Italia il cancro è la seconda causa di morte. Non lo dico io, ma le statistiche
<http://www.nicolettapoidimani.it/wp-content/uploads/2020/04/C_17_notizie_3897_0_file.pdf>
.
Quali governanti si sono mai preoccupati di rendere questa società meno cancerogena?
Nessuno. Perché la scelta è sempre tra il profitto e la vita altrui dal punto di vista del capitale, e tra il pane e la propria vita – intesa come qualità della vita e non come mera sopravvivenza – dal punto di vista del lavoro.

Nel 1976 abitavo accanto a Seveso <http://www.nicolettapoidimani.it/wp-content/uploads/2020/02/Atti_TOPO.pdf> e, come me, decine di migliaia di persone. Andassero a vedere l’incidenza del cancro in chi abitava o ancora abita quelle zone, lor signori che oggi pretendono “in nome dalla scienza” di decidere al
posto nostro cosa sia “salutare” e cosa no.
E a cosa è servita la “direttiva Seveso”? La riposta è a Taranto, nella “terra dei fuochi”, a Carrara e in numerose altre zone di questo paese, così come in questo intero pianeta *spolpato dai predatori* – come direbbe Toni Morrison – e da quegli stessi predatori avvelenato.

La mia laica *pietas* non può essere solo nei confronti dei morti per covid-19, per altro causati in gran parte dall’inettitudine, dagli intrallazzi e dalle politiche dei vari governi locali e nazionali – si veda il caso dello sterminio di anziani nelle Rsa.

La mia laica *pietas* ha urlato davanti all’impossibilità di abbracciare per l’ultima volta un caro amico in fin di vita – non per covid, perché si continua a morire anche per altre ragioni sia chiaro!

Mai come davanti alla sua morte ho sentito il peso di questa reclusione forzata che diventa lontananza straziante dagli affetti e dalla condivisione anche del dolore e del lutto, che sono la cifra dell’umano.

Allora si fottano lor signori col loro linguaggio bellico di fronte alle malattie. Per me nemmeno il cancro è stato un nemico da combattere, ma un modo in cui il mio corpo chiedeva di essere ascoltato e, al contempo, indicava
i veri nemici nei predatori e negli avvelenatori della terra.

E si fottano ancor più, lor signori, con le loro direttive e con l’insopportabile ed ipocrita arroganza di stabilire per me quale sia “il mio bene”.

Il mio bene è autogestire la mia salute. Il mio bene è tornare ad abbracciare le mie amiche, a condividere con le mie compagne di vita. Il mio bene è annusare il profumo della primavera e contemplare le montagne. Il mio bene è continuare a lottare contro l’ingiustizia sociale. Il mio bene è nella mia etica e nelle mie relazioni.

Sono femminista. Mettetevelo bene in testa: la vita è mia e me la gestisco io!