Dividere la societa’ in classi e’ da sempre una tecnica funzionale a togliere coesione e, dunque, forza agli sfruttati : divide et impera dicevano i romani. E’ molto piu’ semplice per l’azione di governo avere a che fare con masse organizzate rispetto ad aver a che fare con degli individui dotati di autonomia di pensiero ed azione, per loro natura “ingovernabili”.
L’istanza sociale portata avanti dagli individui nei confronti della generalita’ degli sfruttati ha poca affinita’ con le rivendicazioni di carattere “corporativo”, quali ad esempio sono diventate le “rivendicazioni operaie”.
L’aver pontificato sulla “classe operaia” come foriera di un’ (improbabile) rivoluzione e’ stato un’utile artificio nelle mani di una ristretta cerchia di padroni e burocrati: riferirsi ad una classe piuttosto che alla totalita’ dei lavoratori ha avuto come risultato quello di frantumare la coscienza politica (potenzialmente in grado di unire ogni sfruttato) in sub-coscienze molto piu’ facilmente inquadrabili e gestibili.
Da decenni assistiamo a sterili rivendicazioni corporative – sciopero degli insegnanti, dei medici, dei tassisti, degli autotrasportatori, dei metalmeccanici, poi gli studenti e cosi’ via, in un continuum di nonsense. (tutti a guardare alla francia: eh, ma quando scioperano loro e’ tutta un’altra cosa…)
Il ruolo dei sindacati non e’ stato quello di unire le istanze dei lavoratori quanto piuttosto quello di dividerle per meglio contenerle, nella logica della molteplicita’ degli schieramenti di cui sono emanazione per la cogestione del potere politico.
Ma cio’ di cui hanno bisogno i lavoratori non e’ l’ennesimo adescamento nella divisione delle briciole ai pezzenti, semmai il ritrovare forma e sostanza di un percorso politico che la faccia finita, una volta per tutte, con la liturgia della rappresentazione in parlamento.
Sedersi alla destra, al centro o alla sinistra negli scranni non ha mai significato nulla per coloro che vivono inseguendo ideali di liberta’ e giustizia sociale. L’aula del parlamento potra’ litigare e trovarsi in disaccordo su tante questioni, ma da sempre, sempre sara’ unanime in una cosa: infamare, calunniare, braccare e in ultimo gettare nelle patrie galere i ribelli all’ordine costituito, pericolosi per la tenuta dello Stato.
E quando il problema sta proprio nella forma Stato? Diviene di impossibile soluzione. Nella cornice della democrazia rappresentativa, la soluzione e’ all’interno del problema. In termini di sostanza, la democrazia parlamentare mira al mantenimento della sua elefantiaca struttura, sulle spalle dei lavoratori.
La rivoluzione non sara’ mai calata dall’alto, ma puo’ respirare quando si infrangono barriere e divisioni sociali. Si puo’ respirare aria di rivoluzione nell’autonoma organizzazione dei lavoratori, nella solidarieta’ tra gli oppressi, nella condivisione delle risorse per crescere insieme, nella difesa di se, dei propri spazi, e dei propri territori.
Qui, ed ora, e’ tutto da rifare – da zero. O forse, da meno uno.
In un percorso di liberazione ognuno da’ il proprio contributo e non e’ sicuramente tramite il mansueto meccanismo della delega (dal partito al sindacato per arrivare al magistrato e al poliziotto), che potremo trasformarci da greggi in uomini liberi.
Per quanto ci riguarda direttamente, all’interno dell’esperienza del circolo Matteotti stiamo facendo i nostri primi passi nell’ambito dell’autonoma organizzazione del lavoro.
Abbiamo costituito una cooperativa di comunita’ di produzione e lavoro, la Cooperativa Istrice, e bandito nel suo statuto ogni forma di lavoro subordinato e parasubordinato. Ci ha fatto specie scoprire che nel lungo percorso delle cooperative, con tutto quel popo’ di quadri e intellighenzia di sinistra “al lavoro” dagli anni ’50 ad oggi, nessuno abbia mai rilevato la profonda contraddizione in termini tra cooperazione e subordinazione, nell’ambito del lavoro.
Abbiamo scoperto che…
Il lavoratore autonomo non contratta la propria forza lavoro, il che snaturerebbe la sua autonomia rendendolo subordinato verso il committente, ma contratta opere e servizi, mentre la contrattazione del lavoro e’ appannaggio solo del sindacato.
Lavoratore autonomo e imprenditore sono scelte radicalmente differenti, su cui e’ stata creata ad arte confusione per mischiare le carte in tavola e rendere piu’ difficoltoso un accesso diretto al mondo del lavoro: confusione necessaria per la creazione di schiere di parassiti e addetti alla burocrazia. Un lavoratore autonomo ad esempio non ha costi fissi annuali relativi alla propria partita iva diversamente da un imprenditore, e paga una percentuale di quanto fattura.
Contenere i lavoratori nei ristretti ambiti della delega e della dipendenza e’ stato per decenni l’imperativo delle politiche di sinistra: utile alla nefasta causa della frammentazione dei lavoratori e’ stato l’attacco sollevato su tutti i fronti ai lavoratori autonomi ed agli imprenditori: accusare l’evasione fiscale e il lavorare in nero come causa importante del malaffare in italia e’ la prima fake-news ante litteram diffusa dalla propaganda di un regime che voleva (e ci e’ ben riuscito) sabotare l’autonomia e spezzare le gambe ai lavoratori.
A un commerciante che paga le tasse per tutta la vita viene riconosciuta, in termini percentuali, meno pensione rispetto a un lavoratore subordinato. Un lavoratore autonomo che abbia dei figli si vede riconosciuto dallo stato un assegno familiare di 10,21 euro al mese per ogni figlio mentre un coltivatore diretto ha diritto ad 8,21 euro al mese a figlio.
Pensiamo che un primo passo verso l’emancipazione dal salario e la riappropriazione del proprio lavoro sia quello della gestione autonoma del tempo che si dedica al lavoro.
Ci siamo assunti, fondando la Cooperativa Istrice, la responsabilita’ delle nostre scelte. Se da un lato l’aver dato un calcio alla cortina di ferro dell’apparato burocratico para-statale ha aperto un piccolo varco nel mondo del lavoro, non sta tuttavia a noi l’onere di allargare la breccia. Sta a tutti quanti ricevono questo messaggio. Dal canto nostro, siamo pronti a condividere con altri le conoscenze che man mano acquisiamo nella gestione diretta degli appalti d’opera e di servizi e nella necessaria rendicontazione di fronte allo stato e all’autorita’ fiscale. Ben vengano i contributi di altri lavoratori che smettano i panni frusti della subordinazione per indossare abiti piu’ aderenti ai propri desideri. La sottomissione non paga, ed e’ vero ora piu’ che mai.
La cooperativa istrice ed il circolo Matteotti, che la ospita, promuovono la costituzione di una Lega Federata dei Lavoratori In-subordinati: una rete federata di lavoratori organizzati in strutture indipendenti, e in contatto tra di loro, non sara’ la tanto agognata rivoluzione, ma con i tempi che corrono rappresenta la miglior risposta che possiamo dare.
Lunga vita all’istrice! Lunga vita al circolo Matteotti!
Nuova vita alla lotta degli oppressi contro gli oppressori!