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Populismo – work in progress

A riguardo del populismo

Per poter articolare un pensiero sul tema del populismo, dovendo preliminarmente scartare la paccottiglia ideologica riprodotta in automatico dalle menti abituate alla ripetizione scolastica, tendenzialmente acritica, di concetti mai digeriti dall’industria politico-culturale, abbiamo ritenuto importante la diffusione di questo dattiloscritto “Marxismo e Populismo in URSS”, di cui abbiamo iniziato la digitalizzazione.

Il dattiloscritto e’ stato scritto a genova negli anni ’70 da Faina ed altri, (probabilmente?) risentendo dell’influenza del passaggio di Franco Venturi  all’universita’ di Genova?

 

vi invitiamo alla lettura e quando saremo a tiro proveremo una sintesi degli elementi di originalita’ che traspaiono dal testo, per agevolare quanti non potessero permettersi il “lusso” di un’analisi di storia comparata dello sviluppo delle societa’ mondiali con riferimento alla questione agraria. In estremissima sintesi e gusto polemico, a mistificare marx sulla questione di populismo e gestione comune delle terre fu nientepopodimeno che Lenin (pag.199). E’ da li’ in avanti che avanza senza sosta il disastro umano e relazionale portato avanti dal leninismo.

Vania Siccardi
Marxismo e Populismo in Urss

Marxismo e Populismo in Urss, penultimo capitolo

Franco Venturi, Il populismo russo. Herzen, Bakunin,Cernysevskij-1952-1972

 

Aggiungo due altri contributi trovati in rete:

Pier Paolo Poggio,  Il populismo Russo: Percorsi carsici

Raissa Raskina, Il populismo russo

 

Chiudersi a Circolo: come confrontarsi con una societa’ disintegrata

Chi propone uno scenario piatto di omologazione e repressione del dissenso nel nome della civilta’ non ha certo nei suoi propositi una societa’ a tutto tondo. La linea diritta della prigione e della reclusione lascia il campo a una piattaforma di inclusione forzata, pena la segregazione volontaria da spazi pubblici e privati interdetti. Tocca chiudersi a circoli, per ritrovare coesione e fulcri intorno a cui fare i propri passi. La non sottomissione al progetto di una societa’ scientifica in cui l’orizzonte democratico e’ manovrato dall’alto prevede la non adesione alle piattaforme di espressione del dominio.

Non e’ questione di reinventare l’acqua calda, abbiamo molteplici strumenti a nostra disposizione – ma quello che piu’ ci serve lo abbiamo surgelato nella scatola cranica. Il calore servira’ per sciogliere i ghiacciai perenni che irrigidiscono le dinamiche sociali al punto di non riconoscere piu’ il rigor mortis di una societa’ che ai raggi del sole si mostra marcia e putrefatta fino al midollo.

Chiudersi a circoli implica il riconoscimento di un inizio, e di una fine, di ogni percorso, comprendere i limiti entro cui ci muoviamo: creare forme labili ma allo stesso tempo perfette, forme che si possono aprire, allargare, rimpicciolire, estendere. Cio’ che conta, e’ agire la chiusura. La comunicazione circolare e’ un fluire di coscienza ed una messa in gioco atta a trasformare il mondo in cui viviamo, e’ il trovare nel limite l’ebbrezza della barriera da abbattere. Per potersi dare degli obiettivi e lavorare per superarli occorrono forze in circolo.

Hanno disintegrato cosi’ a fondo ogni idea di societa’, erodendo la coesione che ne era a fondamento, che oggi possiamo appellarci soltanto ad un’integrita’ sepolta da strati di ideologia, religione e conformismo. Quell’integrita’ individuale dovra’ tornare a risuonare nella nostra comunicazione, nel circondario, nella nostra espressione, fuori dalle briglie dell’ideologia. La struttura sociale da rimettere al centro della nostra intenzione, in un processo espansivo, dovra’ fare i conti con bisogni e necessita’ crescenti, fuochi su cui incanalare energie. A quel gesto arcaico di condividere pane, fatica e sudore dovremo velocemente riabituarci perche’ solo nella comune organizzazione potremo allontanare l’ipocrisia servile.

Comune organizzazione non ha nulla a che vedere col fare fronte comune perche’ fare fronte tipizza le forme piatte mentre a noi interessano i cerchi. E come si possa continuare a dare credito alle forme organizzate del dominio, prima tra tutte lo stato, per noi lupi Mat rimarra’ sempre un mistero della fede.

Nelle piazze italiane, che l’opposizione popolare al green pass venga cavalcata da teste quadre armate di tricolore pare l’atteso risultato di una sinistra campagna, tanto globale quanto progressista, militar-vaccinale, all’insegna della concertazione con i poteri forti e della fede nelle soluzioni sperimentali iniettabili del libero mercato. La Cgil, alfiere dell’estensione del trattamento sanitario obbligatorio a tutti i lavoratori, merita tutto il nostro disprezzo. Non importa se destra e sinistra rappresentino facce opposte della stessa medaglia o, forse, lotte intestine tra nuovi e vecchi fascismi: quelle che rimangono nella sostanza sono le dinamiche obbligate di chi non vuole mettere in discussione i meccanismi del potere e se ne fa braccio, piu’ o meno armato.

Chi non vuole appiattirsi sulle parole d’ordine dei mass merda fara’ bene a tenere a mente gli avvertimenti del vecchio lupo Mat. La responsabilita’ storica dell’aver abbandonato il campo della lotta e i lavoratori, lasciando immensi spazi di agibilita’ politica a un coacervo di testone quadre, sovranismi new age e braccia tese e’ interamente del globalismo progressista, quel vicolo cieco di benpensante ipocrisia di cui si fa da tempo interprete la sinistra. Il fitto parlamentare che sta nascendo tra piu’ o meno ufficiali sovraintendenti all’ordine pubblico ed aspiranti capibastone di greggi confuse e’ solo la punta di un iceberg miscelato al plutonio.

La resistenza non abita adunate, commemorazioni, e neanche di impotenza manifestazioni. Abita altrove, nei limiti da superare, nell’ottica circolare da incarnare – quella e’ l’ottica giusta che non ti offusca la vista – lontano dal gregge, fuori da ogni pista – okkio al lupo mannaro anarco taoista

Riflessioni sul passaporto sanitario

La scelta governativa dell’istituzione di un passaporto sanitario per poter andare … a lavorare… mette in conto l’aperta discriminazione di chi osteggi la narrativa ufficiale relativa alla pandemia, pur di arrivare volenti o nolenti all’istituzione del ministero della verita’.

Qualsiasi sapiens, con cervello autonomo in dotazione, rabbrividisce di fronte a quella che viene presentata come un’opzione “insindacabile” in quanto “sorretta dal metodo scientifico”, per le evidenti analogie ai regimi autoritari del passato. Nel totalitarismo morbido,  o come preconizzato mezzo millennio fa da La Boetie’, nel tempo della servitu’ (oggi reclusione) volontaria, violenza fisica e coercizione diventano mezzi arcaici (… pur sapendo che, quando servono, i nostalgici non mancano mai …) ma la maggior parte del lavoro di irregimentazione e’ prettamente psicologico.

Lo spargere terrore alla bisogna e’ da sempre stato compito dei mass media, nel ruolo di quarto stato, ma nel conflitto tra giornalismo e controinformazione gioca un ruolo di primo piano la figura del debunker, novello cortigiano del minculpop (ministero della cultura popolare).

L’incapacita’ di ragionare e discernere con la propria testa e’ un potente risultato di (anni? decenni? secoli?) di vacanza cerebrale, la famosa ginnastica d’obbedienza che inizia presto nella vita sociale: nelle istituzioni di ogni ordine e grado, a scuola, in parrocchia, al lavoro.

Pensare l’uomo come animale gregario e’ un’idea del potere, riuscita alla fine a travalicare i confini, un tempo ristretti, dell’establishment culturale. Se un tempo, un secolo fa, essere di “sinistra” significava essere ancorati a idee di emancipazione, di sciogliere catene e costrizioni, nell’ottica di un ipotetico progresso sociale, oggi il soggetto sociale homo sapiens e’, nel poco fervido immaginario comune, soppiantato da un nuovo soggetto, l’homo tecnologicus.

Ritorna in auge l’icona sempreverde del capitalismo, quel falso self made man forgiato ad arte, alla bisogna, al passo coi tempi della scienza & della tecnica. L’omologazione alla nuova norma diventa un requisito necessario per accedere a una realta’ … aumentata, quel tanto che basta, per contraffarre una vita all’insegna della sottomissione e della perdita di autonomia.

Un self made man che, nella perdita di ogni possibilita’ di controllo sulla propria vita e sulle proprie scelte, diviene gregario per necessita’, rappresenta un’antica profezia che viene a compimento: quella della natura maligna e disumanizzante del potere.

L’unico progresso perseguito dall’orgia dei tecnocrati riguarda l’assoggettamento globale al campo di forza prescelto. Per entrare a pieno titolo nell’era del transumanesimo tocca abbandonare feticci e categorie dell’arcaico passato: usare l’intelletto e’ roba da boomers, totalmente decontestualizzata in un inferno presente di interiorizzazione dell’attitudine smart.

Tra le poche armi a nostra disposizione figura la passione, quella passione per la liberta’ che e’ piu’ forte di ogni autorita’. Un campo minato da molteplici interferenze, atte a screditarne sia la potenza che il significato, che e’ ora piu’ che mai necessario rimettere al centro del se`: non esiste nulla di piu’ automatizzato di un razionalista svuotato di ogni empatia.

La storia si fa nelle piazze ma si consuma nelle aule di tribunale

La storia si fa nelle piazze ma si consuma nelle aule di tribunale

(l’autore dello scritto usa il plurale maiestatis per volonta’ di potenza)

Non ha molto senso partire dalle accuse di un pubblico ministero e amplificate da scribacchini in costante ricerca di affiatamento col padrone per tirare a campare. Uno sbraitare che non ci interessa minimamente.

Gli ideali di giustizia e liberta’ a cui diamo corpo fanno parte di una lunga tradizione, che mai si e’ sopita e mai si sopira’ semplicemente per il fatto che e’ un portato della vita, della passione, e soprattutto della non rassegnazione al mondo di merda in cui ci vogliono rinchiudere.

Un mondo di umiliazione, sopraffazione ed algoritmica prepotenza, un mondo normalizzato all’accettazione di ogni imposizione.

E cosi’ quel giorno, nella gestione militare inaugurata al g8, con grate di ferro alte 3 metri per nascondere quattro stronzi, decine di sbirri in assetto antisommossa con i loro lanciagranate ci volevano gasare, e in effetti ci sono in parte riusciti.

Ma ancora fischiava il vento in corvetto, e respingeva i gas al mittente, andando a stazionare sulla ventina di teste rasate costrette ad inalazione perpetua.

Tecnicamente, e’ stato l’operato del vento, in sinergia con l’azione dei tutori dell’ordine, a disperdere il comizio del partito fascista legalmente ricostituito.

E quando le vetrine di Mangini sotto il colpo delle granate della polizia sono andate in frantumi, abbiamo tutti pensato – e’ vero – all’esproprio delle fragranti brioche del merda, ma – lo ripeto – e’ stata solo compartecipazione psichica.

uno dei partecipanti ai “fatti di piazza corvetto” del maggio 2019

25 Aprile 2021

25 aprile 2021

il vecchio racconta che solo i pesci morti nuotano nella corrente e, da quel lontano 1945 ad oggi, la corrente - diventata un fiume in piena - ha divelto ogni argine.

Certo bisogna farne di strada, da una ginnastica d'obbedienza,fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza
Però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni

La narrazione, nella pretesa autonomia delle scienze dal consesso delle arti, si è fatta nel tempo sistema. Un sistema di liquefazione politica, in cui i valori e i riferimenti adottati, oramai informi, assumono via via le sembianze dei diversi containersche li ospitano.

Arrivando da decenni di avallamento delle forme più estreme di marketing dello stesso stantio prodotto, che porta il nome di società civile, ci troviamo oggi di fronte alla liquidazione di intere comunità e al loro fatalistico upgradetecno-sociale.

Nuotiamo nella corrente madre di tutte le incomprensioni, un oceano, popolato da zombies, chiamato senso civico.
Possiamo venir educati alle buone maniere, alla cura e al rispetto verso il prossimo, alla solidarietà. Ma al senso civiconon vieni educato bensì istruito.

Nell'implementazione del set di istruzioni del nuovo ordine mondiale, nell'atto di trasformare il libero arbitrio in obbedienza, il primo stepè rappresentato dalla paura, il secondo dalla perdita di fiducia nell'umanoin quanto tale, il terzo dalla catastrofe.

Fanculo ad Alexa, all'avvento del feticcio intelligenza
artificiale
,alla piccola talpa autoritaria e all'aquila imperiale.

Rimbocchiamoci le maniche, insieme, per riafferrare il timone della storia. Il treno determinista corre a folle velocita' lungo il binario morto, le sue carrozze politiche ammuffite. Ricominciamo a camminare.

la nostra passione per la libertà è più forte di ogni autorità

 

Io ero Sandokan

(tratta da C'eravamo tanto amati, di Ettore Scola - Musica di Trovaioli)

intro:
Am
D
Am
D
Am

Am
E
Am
F
G
C

Marciavamo
con l'anima in spalla nelle tenebre lassù

F
G
E
Am
F
G
E

Ma
la lotta per la nostra libertà il cammino ci illuminerà

Am
E
Am
F
G
C

Non
sapevo quale era il tuo nome neanche il mio potevo dir

F
G
E
Am
F
G
Am
D
Am

Il
tuo nome di battaglia era Pinin e io ero Sandokan

Am
E
Am
F
G
C

Eravam
tutti pronti a morire ma della morte noi mai parlavam

F
G
Am
E
Am

Parlavamo
del futuro se il destino ci allontana

F
G
Am
F
G
Am
D
Am

Il
ricordo di quei giorni sempre uniti ci terra

Am
E
Am
F
G
C

E
ricordo che poi venne l'alba e poi qualche cosa di colpo cambiò

F
G
Am
E
Am

Il
domani era venuto e la notte era passata

F
G
Am
F
G
Am

C'era
un sole su nel cielo sorto nella libertà.

 

 

Pagine della Resistenza in Liguria

Una raccolta scelta di scritti, articoli e documenti contro il generale percorso di omologazione della Resistenza   

Un articolo per Nunatak, Racconti_della_Resistenza

Note per una discussione sulla resistenza, tenuta a Pigna

Trovati in rete:

blog, dedicato alla Resistenza nell’Imperiese

Non era un ammiraglio, era il Curto

Nino Siccardi

Chi non vuole chinare la testa con noi prenda la strada dei monti | POLISTUDIO di Remo Schellino

È nostra intenzione costituire una Brigata d’Assalto per la guerriglia

 

Rete di scambio

Reti di scambio esistenti. Qualche spunto di
riflessione.

L’idea di lavorare per guadagnare del denaro e’ cosi’ inveterata che un’economia che non parta da questo presupposto lascia inizialmente di stucco.

Voglio parlarvi della nostra Rae de cangiu a Torsio. La nostra moneta e` la palanca, che ha un valore equivalente all’euro. Tutto cio’ che misuri in euro, lo puoi misurare con le palanche.

La continuita’ inoltre sta nel fatto che, come da antiche tradizioni, le palanche non si accumulano.

Siamo cosi’ abituati alla relazione mercantile “do ut des” che facciamo fatica anche solo a ipotizzare che un’altra relazione di scambio sia alla nostra portata.

Chi partecipa alla Rae a Torsio condivide mutualmente la responsabilita’, e la gestione, della propria economia di rete. Il principio ispiratore e’ che ognuno di noi all’interno della rete ha un bilancio tra crediti e debiti. Tutti partono inizialmente col bilancio a zero.

Quando compriamo qualcosa da qualcuno, quel qualcuno registra sulla rete la transazione: Il venditore ha un attivo di 100 palanche, il compratore e’ in rosso di 100 palanche.

La propria esposizione in bilancio e’ la nostra cartina di tornasole nella rete e serve ai venditori per valutare se concludere transazioni o meno con noi. Ma lo scambio prescinde dalla disponibilita’ di palanche. Viene contratto un debito verso la Rae e non verso il venditore. Il venditore registrando la transazione acquisisce le palanche che gli permettono di comprare a sua volta dagli altri venditori e cosi’ via.

Il compratore dal canto suo ha il bilancio in rosso, e se continua a comprare senza mai vendere nulla a nessuno, il suo conto in rosso continuera’ a salire. Arrivato a un sacco di palanche, qualcuno della Rae potrebbe dirgli che cosi’ la rete non puo’ funzionare. Potrebbe anche dirgli che, superata la soglia del sacco di palanche di rosso, entra in uno stato critico dove gli altri soci non vogliono piu’ avere a che fare con lui… a meno che non cacci la grana: facendo da banca, dotando la rete dell’equivalente in euro delle palanche da lui (ab)usate, ottiene l’equivalente del ricomprarsi il debito per poter ripartire da zero. Un segnale del non perfetto funzionamento della Rae, che tuttavia fornisce la Rae di una disponibilita’ monetaria all’interno dell’economia di mercato in cui e’ immersa…  ad esempio, la Rae potrebbe comprare le preziose palanche dei soci in cambio del vile danaro, se un socio della Rae ha bisogno di liquidita’. Ogni scenario apre risvolti inediti ma nel caso peggiore al massimo ci si puo’ incagliare nell’economia di mercato da cui si era partiti.

Una rete del genere, innestata su un percorso di mutualita’ e autogestione in continuo confronto col il dissolvimento delle comunita’ locali e la dispersione nella cosiddetta comunita’ globale, serve a dare linfa a percorsi di transizione verso altri orizzonti.

Nella Rae non puoi comprare con le palanche tutto cio’ che compri in euro. Ma non tutto cio’ che puoi comprare con le palanche  lo potrai comprare nell’economia di mercato.  La grana infatti, diversamente dalle palanche, la devi prima acchiappare.

Seguendo il Link https://www.community-exchange.org/home/join/ ci si puo’ iscrivere, selezionando “Italy” e poi “Rae de Cangiu a Torsio” alla Rae. Dajeee

 

Pensiero unico e semplificazione per la dittatura globale

27 Novembre 2019

Riflessioni_a_briglia_sciolta a cura di vlad

basse_frequenze@resist.ca

Da più parti, e nei più svariati ambiti, assistiamo ad un trionfo della semplificazione associato ad un generale decadimento della qualità più importante per un essere umano, che parte dalla capacità di discernere e comprendere i meccanismi in atto per arrivare ad intraprendere una decisione. Se su un piatto della bilancia abbiamo la dipendenza dal sistema, servitu’ piu’ o meno interiorizzata di facile assimilazione, sull’altro dobbiamo porre la ricerca, difesa, valorizzazione ed incremento di una scelta di autonomia e del relativo contesto che la rende possibile: il diavolo si trova nei dettagli. L’omologazione -distruzione di ogni contesto tramite irrigidimento dell’istituzione- corrisponde alla necessità di contenere una situazione sociale che prevede un orizzonte di miseria sempre più incalzante, e si rende necessaria quando i governati mostrino un temperamento incline alla ribellione ed ostile al controllo.

L’irrigidimento delle istituzioni corrisponde alla necessità di contenere una situazione sociale che prevede un orizzonte di miseria sempre più incalzante, ed è reso necessario quando i governati mostrino un temperamento incline alla ribellione ed ostile al controllo.

Il dominio incontrastato della ragione, causa e risultato di un tenore di vita ai più alti livelli della social democrazia (a spese degli sfruttati), pare istintivamente disumano a chi parta da altre espressioni di umanità, bollate dalla storia (che ricordiamo essere da sempre la storia dei vincitori) come utopie. Ma queste utopie possono essere tentativi di mettere in atto società complesse, la somma di tutte le complicazioni necessarie se vogliamo parlare di libertà. Alla loro base, stanno passione e complessità. Ma oggi assistiamo invero al trionfo della semplificazione.

Uomini senza passione o empatia

Non la gioia, non il brivido

verso ciò che non conoscono

l’ignoto? il salto nel buio?

Partendo dall’empatia e scendendo a compromessi con la ragione, tra le qualità della propria utopia – passione potremmo indicare l’equilibrio tra raziocinio e spregiudicatezza, tra autorità e potere, tra insubordinazione ed umiltà.

La consapevolezza di sè, la famosa coscienza, cresce misurandosi con le coscienze degli altri con cui siamo in relazione, con il sentirsi parte di un tutto, con l’uscire allo scoperto nell’avventura sociale, con il sentirsi liberi nonostante tutto intorno cerchi di subordinarci al ‘dogma’ secondo il quale la nostra capacità di autodeterminazione deve essere rintuzzata dall’osservazione di rituali e leggi volte alla governabilità.

Serve a nulla distinguere tra differenti modalità di governo quando queste condividono le medesime basi, e quando l’unico potere per noi degno di nome non ammette l’istituzione della sopraffazione e del privilegio, ma si fonda sull’autorevolezza che siamo in grado di riconoscere ed apprezzare.

L’autorità in questa società malata deriva da un principio mantenuto con la forza. Un principio, che opera dunque dall’inizio del processo sociale, per impedirne altri sviluppi.

A questo principio, in un quadro più desolante, possiamo associare la pretesa autonomia da parte delle scienze nei confronti delle arti. La storia degli ultimi secoli mostra come l’autonomizzarsi delle scienze dal consesso delle arti chiuda definitivamente la partita verso il progredire del pensiero inteso come un tutto.

L’unico ad andare avanti è il pensiero scientifico. Ma senza sinergia nè confronto con altre facoltà del pensiero, la direzione è quella già individuata… da profitto, sfruttamento e controllo sociale.

Quel sistema che sotto il nome di “capitalismo” ha emancipato ed autonomizzato su scala globale il “mercato” ha fatto diversi salti di prospettiva. Spazzati via i campi locali della comunità e del confronto, costruito il campo del pensiero unico – assolutamente inopinabile -, ci prospetta come ineluttabile una dittatura della semplificazione che avrebbe del fantascientifico se non fosse reale. L’internet delle cose nasce per realizzarla.

Id2020 : agenda digitale globale. Necessario corollario: il fascismo sanitario

 

Fatti – e Misfatti – della Resistenza

Gli anni passano, la storia viene riscritta, e siamo sommersi da frullati di idiozie ad ampio spettro.

E’ per noi importante inserire degli elementi di discussione e per questo motivo mettiamo qui alcune lettere, alcuni fatti di cui siamo a conoscenza.

Contrasti con il CLN provinciale

Contrasti con il CLN di Cuneo e Mondovi`

Contrasti con l’ANPI provinciale

La mitica Guzzi 500: requisita dal partigiano Silvio Bonfante (Cion) ad un commerciante, alleghiamo la lettera del figlio del commerciante che si lamenta della requisizione (per la cronaca, gli verra’ riconosciuta una somma in denaro)

 

Tutti i documenti riportati sono o materiale originale in nostro possesso, o riportati nel libro di Francesco Biga “U curtu”