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Pensiero unico e semplificazione per la dittatura globale

27 Novembre 2019

Riflessioni_a_briglia_sciolta a cura di vlad

basse_frequenze@resist.ca

Da più parti, e nei più svariati ambiti, assistiamo ad un trionfo della semplificazione associato ad un generale decadimento della qualità più importante per un essere umano, che parte dalla capacità di discernere e comprendere i meccanismi in atto per arrivare ad intraprendere una decisione. Se su un piatto della bilancia abbiamo la dipendenza dal sistema, servitu’ piu’ o meno interiorizzata di facile assimilazione, sull’altro dobbiamo porre la ricerca, difesa, valorizzazione ed incremento di una scelta di autonomia e del relativo contesto che la rende possibile: il diavolo si trova nei dettagli. L’omologazione -distruzione di ogni contesto tramite irrigidimento dell’istituzione- corrisponde alla necessità di contenere una situazione sociale che prevede un orizzonte di miseria sempre più incalzante, e si rende necessaria quando i governati mostrino un temperamento incline alla ribellione ed ostile al controllo.

L’irrigidimento delle istituzioni corrisponde alla necessità di contenere una situazione sociale che prevede un orizzonte di miseria sempre più incalzante, ed è reso necessario quando i governati mostrino un temperamento incline alla ribellione ed ostile al controllo.

Il dominio incontrastato della ragione, causa e risultato di un tenore di vita ai più alti livelli della social democrazia (a spese degli sfruttati), pare istintivamente disumano a chi parta da altre espressioni di umanità, bollate dalla storia (che ricordiamo essere da sempre la storia dei vincitori) come utopie. Ma queste utopie possono essere tentativi di mettere in atto società complesse, la somma di tutte le complicazioni necessarie se vogliamo parlare di libertà. Alla loro base, stanno passione e complessità. Ma oggi assistiamo invero al trionfo della semplificazione.

Uomini senza passione o empatia

Non la gioia, non il brivido

verso ciò che non conoscono

l’ignoto? il salto nel buio?

Partendo dall’empatia e scendendo a compromessi con la ragione, tra le qualità della propria utopia – passione potremmo indicare l’equilibrio tra raziocinio e spregiudicatezza, tra autorità e potere, tra insubordinazione ed umiltà.

La consapevolezza di sè, la famosa coscienza, cresce misurandosi con le coscienze degli altri con cui siamo in relazione, con il sentirsi parte di un tutto, con l’uscire allo scoperto nell’avventura sociale, con il sentirsi liberi nonostante tutto intorno cerchi di subordinarci al ‘dogma’ secondo il quale la nostra capacità di autodeterminazione deve essere rintuzzata dall’osservazione di rituali e leggi volte alla governabilità.

Serve a nulla distinguere tra differenti modalità di governo quando queste condividono le medesime basi, e quando l’unico potere per noi degno di nome non ammette l’istituzione della sopraffazione e del privilegio, ma si fonda sull’autorevolezza che siamo in grado di riconoscere ed apprezzare.

L’autorità in questa società malata deriva da un principio mantenuto con la forza. Un principio, che opera dunque dall’inizio del processo sociale, per impedirne altri sviluppi.

A questo principio, in un quadro più desolante, possiamo associare la pretesa autonomia da parte delle scienze nei confronti delle arti. La storia degli ultimi secoli mostra come l’autonomizzarsi delle scienze dal consesso delle arti chiuda definitivamente la partita verso il progredire del pensiero inteso come un tutto.

L’unico ad andare avanti è il pensiero scientifico. Ma senza sinergia nè confronto con altre facoltà del pensiero, la direzione è quella già individuata… da profitto, sfruttamento e controllo sociale.

Quel sistema che sotto il nome di “capitalismo” ha emancipato ed autonomizzato su scala globale il “mercato” ha fatto diversi salti di prospettiva. Spazzati via i campi locali della comunità e del confronto, costruito il campo del pensiero unico – assolutamente inopinabile -, ci prospetta come ineluttabile una dittatura della semplificazione che avrebbe del fantascientifico se non fosse reale. L’internet delle cose nasce per realizzarla.

Id2020 : agenda digitale globale. Necessario corollario: il fascismo sanitario

 

Fatti – e Misfatti – della Resistenza

Gli anni passano, la storia viene riscritta, e siamo sommersi da frullati di idiozie ad ampio spettro.

E’ per noi importante inserire degli elementi di discussione e per questo motivo mettiamo qui alcune lettere, alcuni fatti di cui siamo a conoscenza.

Contrasti con il CLN provinciale

Contrasti con il CLN di Cuneo e Mondovi`

Contrasti con l’ANPI provinciale

La mitica Guzzi 500: requisita dal partigiano Silvio Bonfante (Cion) ad un commerciante, alleghiamo la lettera del figlio del commerciante che si lamenta della requisizione (per la cronaca, gli verra’ riconosciuta una somma in denaro)

 

Tutti i documenti riportati sono o materiale originale in nostro possesso, o riportati nel libro di Francesco Biga “U curtu”

riflessione autonomizzante di fine gennaio

Dividere la societa’ in classi e’ da sempre una tecnica funzionale a togliere coesione e, dunque, forza agli sfruttati : divide et impera dicevano i romani. E’ molto piu’ semplice per l’azione di governo avere a che fare con masse organizzate rispetto ad aver a che fare con degli individui dotati di autonomia di pensiero ed azione, per loro natura “ingovernabili”.

L’istanza sociale portata avanti dagli individui nei confronti della generalita’ degli sfruttati ha poca affinita’ con le rivendicazioni di carattere “corporativo”, quali ad esempio sono diventate le “rivendicazioni operaie”.

L’aver pontificato sulla “classe operaia” come foriera di un’ (improbabile) rivoluzione e’ stato un’utile artificio nelle mani di una ristretta cerchia di padroni e burocrati: riferirsi ad una classe piuttosto che alla totalita’ dei lavoratori ha avuto come risultato quello di frantumare la coscienza politica (potenzialmente in grado di unire ogni sfruttato) in sub-coscienze molto piu’ facilmente inquadrabili e gestibili.

Da decenni assistiamo a sterili rivendicazioni corporative – sciopero degli insegnanti, dei medici, dei tassisti, degli autotrasportatori, dei metalmeccanici, poi gli studenti e cosi’ via, in un continuum di nonsense. (tutti a guardare alla francia: eh, ma quando scioperano loro e’ tutta un’altra cosa…)

Il ruolo dei sindacati non e’ stato quello di unire le istanze dei lavoratori quanto piuttosto quello di dividerle per meglio contenerle, nella logica della molteplicita’ degli schieramenti di cui sono emanazione per la cogestione del potere politico.

Ma cio’ di cui hanno bisogno i lavoratori non e’ l’ennesimo adescamento nella divisione delle briciole ai pezzenti, semmai il ritrovare forma e sostanza di un percorso politico che la faccia finita, una volta per tutte, con la liturgia della rappresentazione in parlamento.

Sedersi alla destra, al centro o alla sinistra negli scranni non ha mai significato nulla per coloro che vivono inseguendo ideali di liberta’ e giustizia sociale. L’aula del parlamento potra’ litigare e trovarsi in disaccordo su tante questioni, ma da sempre, sempre sara’ unanime in una cosa: infamare, calunniare, braccare e in ultimo gettare nelle patrie galere i ribelli all’ordine costituito, pericolosi per la tenuta dello Stato.

E quando il problema sta proprio nella forma Stato? Diviene di impossibile soluzione. Nella cornice della democrazia rappresentativa, la soluzione e’ all’interno del problema. In termini di sostanza, la democrazia parlamentare mira al mantenimento della sua elefantiaca struttura, sulle spalle dei lavoratori.

La rivoluzione non sara’ mai calata dall’alto, ma puo’ respirare quando si infrangono barriere e divisioni sociali. Si puo’ respirare aria di rivoluzione nell’autonoma organizzazione dei lavoratori, nella solidarieta’ tra gli oppressi, nella condivisione delle risorse per crescere insieme, nella difesa di se, dei propri spazi, e dei propri territori.

Qui, ed ora, e’ tutto da rifare – da zero. O forse, da meno uno.

In un percorso di liberazione ognuno da’ il proprio contributo e non e’ sicuramente tramite il mansueto meccanismo della delega (dal partito al sindacato per arrivare al magistrato e al poliziotto), che potremo trasformarci da greggi in uomini liberi.

Per quanto ci riguarda direttamente, all’interno dell’esperienza del circolo Matteotti stiamo facendo i nostri primi passi nell’ambito dell’autonoma organizzazione del lavoro.

Abbiamo costituito una cooperativa di comunita’ di produzione e lavoro, la Cooperativa Istrice, e bandito nel suo statuto ogni forma di lavoro subordinato e parasubordinato. Ci ha fatto specie scoprire che nel lungo percorso delle cooperative, con tutto quel popo’ di quadri e intellighenzia di sinistra “al lavoro” dagli anni ’50 ad oggi, nessuno abbia mai rilevato la profonda contraddizione in termini tra cooperazione e subordinazione, nell’ambito del lavoro.

Abbiamo scoperto che…

Il lavoratore autonomo non contratta la propria forza lavoro, il che snaturerebbe la sua autonomia rendendolo subordinato verso il committente, ma contratta opere e servizi, mentre la contrattazione del lavoro e’ appannaggio solo del sindacato.

Lavoratore autonomo e imprenditore sono scelte radicalmente differenti, su cui e’ stata creata ad arte confusione per mischiare le carte in tavola e rendere piu’ difficoltoso un accesso diretto al mondo del lavoro: confusione necessaria per la creazione di schiere di parassiti e addetti alla burocrazia. Un lavoratore autonomo ad esempio non ha costi fissi annuali relativi alla propria partita iva diversamente da un imprenditore, e paga una percentuale di quanto fattura.

Contenere i lavoratori nei ristretti ambiti della delega e della dipendenza e’ stato per decenni l’imperativo delle politiche di sinistra: utile alla nefasta causa della frammentazione dei lavoratori e’ stato l’attacco sollevato su tutti i fronti ai lavoratori autonomi ed agli imprenditori: accusare l’evasione fiscale e il lavorare in nero come causa importante del malaffare in italia e’ la prima fake-news ante litteram diffusa dalla propaganda di un regime che voleva (e ci e’ ben riuscito) sabotare l’autonomia e spezzare le gambe ai lavoratori.

A un commerciante che paga le tasse per tutta la vita viene riconosciuta, in termini percentuali, meno pensione rispetto a un lavoratore subordinato. Un lavoratore autonomo che abbia dei figli si vede riconosciuto dallo stato un assegno familiare di 10,21 euro al mese per ogni figlio mentre un coltivatore diretto ha diritto ad 8,21 euro al mese a figlio.

Pensiamo che un primo passo verso l’emancipazione dal salario e la riappropriazione del proprio lavoro sia quello della gestione autonoma del tempo che si dedica al lavoro.

Ci siamo assunti, fondando la Cooperativa Istrice, la responsabilita’ delle nostre scelte. Se da un lato l’aver dato un calcio alla cortina di ferro dell’apparato burocratico para-statale ha aperto un piccolo varco nel mondo del lavoro, non sta tuttavia a noi l’onere di allargare la breccia. Sta a tutti quanti ricevono questo messaggio. Dal canto nostro, siamo pronti a condividere con altri le conoscenze che man mano acquisiamo nella gestione diretta degli appalti d’opera e di servizi e nella necessaria rendicontazione di fronte allo stato e all’autorita’ fiscale. Ben vengano i contributi di altri lavoratori che smettano i panni frusti della subordinazione per indossare abiti piu’ aderenti ai propri desideri. La sottomissione non paga, ed e’ vero ora piu’ che mai.

La cooperativa istrice ed il circolo Matteotti, che la ospita, promuovono la costituzione di una Lega Federata dei Lavoratori In-subordinati: una rete federata di lavoratori organizzati in strutture indipendenti, e in contatto tra di loro, non sara’ la tanto agognata rivoluzione, ma con i tempi che corrono rappresenta la miglior risposta che possiamo dare.

Lunga vita all’istrice! Lunga vita al circolo Matteotti!

Nuova vita alla lotta degli oppressi contro gli oppressori!

Sabato 6 : Ludd e la critica radicale

Questo Sabato al circolo, dalle 6 del pomeriggio, alla presenza degli autori verra’ presentato il libro “La critica radicale in italia – ludd 1967-1970”.

https://circolo.noblogs.org/post/events/ludd-e-la-critica-radicale-genova-anni-70/

La chiacchierata iniziera’ verso le sei del pomeriggio, sara’ poi intervallata dalla cena, e potra’ continuare ad oltranza, fino ad esaurimento. Siate pronti..

 

“In questi giorni bui, in cui di fronte al riproporsi di un governo reazionario e razzista l’antagonismo sociale non sembra saper far altro che riproporre modelli di azione politica e di organizzazione ripescati pari pari dai vecchi Fronti popolari e dalla peggiore tradizione catto-comunista e stalinista, questo primo volume del progetto destinato a ripercorrere le vicende della critica radicale italiana dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta costituisce un’autentica boccata d’aria pura. Un po’ come aprire una finestra di un appartamento situato al centro di una grigia e inquinata metropoli per scoprire, inaspettatamente, che questa si affaccia su un magnifico paesaggio montano di nevi eterne, dirupi scoscesi e boschi verdissimi e selvaggi.
Le edizioni Nautilus che fin dai loro inizi pubblicano e ripubblicano testi di quel pensiero radicale che ha avuto nel Situazionismo una delle sue massime espressioni ma che, prima di tutto, affonda le sue radici nella insorgenza giovanile e proletaria che ha contraddistinto da sempre e, in particolare, fin dal secondo dopoguerra la “naturale” reazione di classe rivoluzionaria sia al capitalismo occidentale che al suo mostruoso alter ego rappresentato dal cosiddetto “socialismo reale”, con questo volume iniziano un’operazione che più che d’archivio pare essere più di riscoperta (per i lettori più giovani) e rivendicazione di un pensiero e di una pratica che dell’insorgenza continua contro ogni forma di potere costituito e ogni formulazione teorica tesa alla conservazione dell’esistente hanno fatto la propria ragione d’essere.” (S.Moiso, Ludd, ovvero dell’insurrezione permanente, da carmillaonline)

 

2 parole per presentarci…

…due parole per presentarci

Il filo comune che ci porta a riconoscerci l’uno nell’altro può ben essere descritto dalla semplice parola “autogestione”: partire da se, dalle proprie forze per costruire il proprio futuro e quello dei propri simili, senza accettare a cuor leggero il compromesso che rende tutto più facile: sapendo che ogni compromesso fatto con se stessi è una spina nel fianco, che possiamo sopportare soltanto fino a un certo punto.

Siamo al fianco, per tanto, di chi si mette in discussione.

Pensiamo di attivarci con un luogo materiale dove poterci incontrare e condividere il pane, non solo in senso figurato, almeno una volta alla settimana. Dove riversare le eccedenze dell’orto, già che molti di noi sono, ognuno a suo modo, gente di campagna. Dove ognuno mette in comune le attrezzature che ritiene possano sopportare una simile prova.

Cercheremo di farne un luogo dove le distanze, fino ad arrivare a quelle emotive, siano azzerate, un luogo dove perlomeno sia reso semplice l’esporre agli altri un proprio problema, nel tentativo di trovarne una soluzione senza cadere nella trappola dell’assistenzialismo. Nessuno di noi ha in stima le parole servizio, utente, evento.

Siamo esploratori del vivente. Ci piace vivere la vita a piene mani, manifestando così la nostra voglia di vivere, tessendo e intrecciando una tela.

Un percorso di autogestione è un percorso di qualità della vita. Qualche buontempone potrà aver pensato che la merce di qualità debba avere il suo prezzo, e per questo sono nate le botteghe frequentate dai radical-chic, in sinergia con un processo industriale che da da mangiare a basso costo. Ma dipendendo meno dal denaro per soddisfare i propri bisogni chi vive nell’ottica dell’autogestione riprende a vivere uscendo dal ruolo di consumatore.

Ridare vita al cibo, alle arti e ai mestieri, alla cultura significa che il circolo si adopererà nella condivisione, come prosecuzione dei nostri percorsi individuali, in momenti atti a soddisfare le differenti necessità, siano queste bisogni materiali, o ludici, o di approfondimento. Fermo restando il bisogno del circolo e di chi vi fa riferimento di mantenersi in vita, vale a dire che il circolo ospiterà iniziative volte a conseguire un ricavato economico, siano esse cene di autofinanziamento o iniziative varie.

E chissà che il circolo non possa anche diventare, per chi come noi è abituato a scambiarsi favori senza ricorrere al denaro, un luogo dove chi ne ha bisogno possa organizzarsi in piena autonomia e contare sulla solidarietà e l’appoggio materiale degli altri nel sostenere un progetto. Un luogo dunque aperto a intrecciare relazioni, che si opponga nel concreto alla disgregazione che divampa nella società come un fiume in piena.