Una riflessione sulla chiacchierata fatta al Circolo su Lesbo

L’isola di Lesvos dista 4 miglia dalla costa Turca, e parecchie miglia dalle isole piu’ vicine. E’ un’isola abitata da circa 80mila persone, e dimora di una decina di milioni di piante di ulivo.

Grande circa il doppio dell’isola d’Elba, in questi anni e’ finita nelle cronache per il suo ruolo chiave nello spostamento di masse di diseredati. Dalla Turchia premono per entrare nella “fortezza Europa” persone provenienti da tutti i paesi in cui il ruolo dell’occidente nell’esportare democrazia si e’ svolto primariamente in ambito militare.

Masse di profughi si riversano verso quel sogno europeo in fretta ribattezzato “Eutopia”, pedine di giochi politici e umanitari globali.

Parrebbe che per la cifra di 20.000 euro i trafficanti li imbarchino dalla Turchia con destinazione Lesvos, uno degli ingressi per la fortezza europa. Alle emittenti televisive turche gli scafisti intervistati dichiarano di farlo a titolo gratuito… per levarceli di torno.

A Lesvos e’ stato allestito un campo, aperto, che puo’ ospitare 25mila persone, con una piccola prigione (capienza 150 persone circa) all’interno.

Centinaia di ONG, Eurorelief in testa (mormoni?), si
alternano sul campo. La gestione dell’assistenza assicura la piena integrazione alla logica di mercato: mentre 25000 persone vengono costrette in una unica coda per elemosinare un pasto al giorno, allo stato rimane da amministrare la pratica burocratica. La gestione della
sicurezza e’ affidata all’agenzia europea Frontex.

I tentativi di portare aiuto fuori dalla logica dell’assistenza si devono scontrare con le molteplici organizzazioni neo-naziste europee, spesso aiutate dalla polizia, che si rendono protagoniste di agguati.

Ne citiamo uno degno di nota: Un cordone di polizia circonda un campo di profughi afghani. Da dietro il cordone, per ben 8 ore sono continuati lanci di pietre su queste famiglie afghane, protette dalla lapidazione da drappi e lenzuola stese.

In Turchia, dove non ci sono campi, e’ prevista unicamente la detenzione, fino ad un anno. Scaduto il termine, viene il conseguente “liberi tutti”, cui puoi accedere anzitempo con la classica cagnotta.

Il conseguimento, per quei pochi che riescono a fare la “carriera burocratica”, dello status di rifugiato porta all’ottenimento di un passaporto azzurrino che non ha alcun valore fuori dall’Europa.

Rifugiati a vita, in attesa di essere presi in carico dai nuovi “datori di diritti civili”. Meccanismi gestiti e controllati dalla commissione per le migrazioni dell’unione europea, mentre in Europa si leva il risentimento verso gli “irregolari”, rei di non poter accedere a titoli di viaggio che vengono loro negati.

Fermarsi ad invocare il rispetto della legge dei padroni testimonia l’irrimediabile sprofondamento nell’abisso della barbarie chiamata civilta’. L’umanita’ intera sta andando a farsi fottere.

Quella che giunge da ogni dove, con la rapida dissoluzione dei legami comunitari, e’ una chiamata all’assunzione di responsabilita’ individuale. Che ogni singolo ritorni a rispecchiarsi nel prossimo, chiarendo le idee su affinita’ e divergenze.

Occorre radicalizzare l’empatia per arginare il mostro sociale che avanza.

Rete di scambio

Reti di scambio esistenti. Qualche spunto di
riflessione.

L’idea di lavorare per guadagnare del denaro e’ cosi’ inveterata che un’economia che non parta da questo presupposto lascia inizialmente di stucco.

Voglio parlarvi della nostra Rae de cangiu a Torsio. La nostra moneta e` la palanca, che ha un valore equivalente all’euro. Tutto cio’ che misuri in euro, lo puoi misurare con le palanche.

La continuita’ inoltre sta nel fatto che, come da antiche tradizioni, le palanche non si accumulano.

Siamo cosi’ abituati alla relazione mercantile “do ut des” che facciamo fatica anche solo a ipotizzare che un’altra relazione di scambio sia alla nostra portata.

Chi partecipa alla Rae a Torsio condivide mutualmente la responsabilita’, e la gestione, della propria economia di rete. Il principio ispiratore e’ che ognuno di noi all’interno della rete ha un bilancio tra crediti e debiti. Tutti partono inizialmente col bilancio a zero.

Quando compriamo qualcosa da qualcuno, quel qualcuno registra sulla rete la transazione: Il venditore ha un attivo di 100 palanche, il compratore e’ in rosso di 100 palanche.

La propria esposizione in bilancio e’ la nostra cartina di tornasole nella rete e serve ai venditori per valutare se concludere transazioni o meno con noi. Ma lo scambio prescinde dalla disponibilita’ di palanche. Viene contratto un debito verso la Rae e non verso il venditore. Il venditore registrando la transazione acquisisce le palanche che gli permettono di comprare a sua volta dagli altri venditori e cosi’ via.

Il compratore dal canto suo ha il bilancio in rosso, e se continua a comprare senza mai vendere nulla a nessuno, il suo conto in rosso continuera’ a salire. Arrivato a un sacco di palanche, qualcuno della Rae potrebbe dirgli che cosi’ la rete non puo’ funzionare. Potrebbe anche dirgli che, superata la soglia del sacco di palanche di rosso, entra in uno stato critico dove gli altri soci non vogliono piu’ avere a che fare con lui… a meno che non cacci la grana: facendo da banca, dotando la rete dell’equivalente in euro delle palanche da lui (ab)usate, ottiene l’equivalente del ricomprarsi il debito per poter ripartire da zero. Un segnale del non perfetto funzionamento della Rae, che tuttavia fornisce la Rae di una disponibilita’ monetaria all’interno dell’economia di mercato in cui e’ immersa…  ad esempio, la Rae potrebbe comprare le preziose palanche dei soci in cambio del vile danaro, se un socio della Rae ha bisogno di liquidita’. Ogni scenario apre risvolti inediti ma nel caso peggiore al massimo ci si puo’ incagliare nell’economia di mercato da cui si era partiti.

Una rete del genere, innestata su un percorso di mutualita’ e autogestione in continuo confronto col il dissolvimento delle comunita’ locali e la dispersione nella cosiddetta comunita’ globale, serve a dare linfa a percorsi di transizione verso altri orizzonti.

Nella Rae non puoi comprare con le palanche tutto cio’ che compri in euro. Ma non tutto cio’ che puoi comprare con le palanche  lo potrai comprare nell’economia di mercato.  La grana infatti, diversamente dalle palanche, la devi prima acchiappare.

Seguendo il Link https://www.community-exchange.org/home/join/ ci si puo’ iscrivere, selezionando “Italy” e poi “Rae de Cangiu a Torsio” alla Rae. Dajeee

 

Locandina dell’iniziativa

 

Domenica 15 Dicembre al Circolo Matteotti a partire dalle 16.00 presentazione dell’opuscolo “Nessun approdo alla guerra“, discussione e confronto che proseguira’ anche a tavola.

La mobilitazione di portuali genovesi e solidali contro la compagnia navale nazionale saudita Bahri solleva parecchi nervi scoperti.

La guerra e` l’imprescindibile stampella dell’ordinamento sociale, sotto diversi punti di vista: nell’ambito della produzione e del commercio rappresenta il business capitalista che non conosce crisi. Tra i suoi effetti collaterali, abbiamo quello della creazione, e movimentazione, di risorse umane che, scappando dalla guerra e dalla miseria, cercano rifugio verso l’occidente in cerca di un “porto sicuro”.

Il ruolo occidentale non e` limitato dunque a quello di principale sponsor materiale dell’attivita’ bellica, tramite la produzione e vendita di armi e tecnologia ad uso militare, ma sconfina nella propaganda di “ideologie morali”, a partire dalla becera “guerra globale al terrorismo” per arrivare a piu’ orecchiabili “richieste di diritti” e gestione umanitaria dei profughi, nel principio dell'”esportazione della democrazia”.

Democrazie salde sulla “libera circolazione” delle merci, di cui i porti sono centri nevralgici, indispensabil al commercio globale e luoghi concreti del nesso guerra-razzismo, hanno equiparato, nella medesima definizione di merce, risorse umane, militari e beni di consumo dando cosi` il loro potente contributo alla sottomissione alla “legge del mercato”, che prevede l’annullamento di ogni residuale distinzione etica dall’ambito del commercio.

La moderna schiavitu`”flessibile” che ne consegue e` il risultato dell’applicazione dell’ideologia del commercio alle “risorse umane” : agenzie interinali, contratti di somministrazione sono e saranno sempre piu` richiesti per la  sopravvivenza della baracca occidentale in rapido disfacimento.

La gestione e il controllo dei flussi migratori, in termini piu’ crudi e moderni l’importazione di risorse umane, e’  centrale e fondante in qualsiasi organizzazione sociale dalla notte dei tempi. Sospinta dalle tinte fosche delle politiche razziste e persecutorie o da quelle arcobaleno dell’inclusione sociale, la sostanza che non cambia mai e che e’ alla base del problema e` la gerarchia implicita nel meccanismo del consumo.

Circolo Matteotti

Pensiero unico e semplificazione per la dittatura globale

27 Novembre 2019

Riflessioni_a_briglia_sciolta a cura di vlad

basse_frequenze@resist.ca

Da più parti, e nei più svariati ambiti, assistiamo ad un trionfo della semplificazione associato ad un generale decadimento della qualità più importante per un essere umano, che parte dalla capacità di discernere e comprendere i meccanismi in atto per arrivare ad intraprendere una decisione. Se su un piatto della bilancia abbiamo la dipendenza dal sistema, servitu’ piu’ o meno interiorizzata di facile assimilazione, sull’altro dobbiamo porre la ricerca, difesa, valorizzazione ed incremento di una scelta di autonomia e del relativo contesto che la rende possibile: il diavolo si trova nei dettagli. L’omologazione -distruzione di ogni contesto tramite irrigidimento dell’istituzione- corrisponde alla necessità di contenere una situazione sociale che prevede un orizzonte di miseria sempre più incalzante, e si rende necessaria quando i governati mostrino un temperamento incline alla ribellione ed ostile al controllo.

L’irrigidimento delle istituzioni corrisponde alla necessità di contenere una situazione sociale che prevede un orizzonte di miseria sempre più incalzante, ed è reso necessario quando i governati mostrino un temperamento incline alla ribellione ed ostile al controllo.

Il dominio incontrastato della ragione, causa e risultato di un tenore di vita ai più alti livelli della social democrazia (a spese degli sfruttati), pare istintivamente disumano a chi parta da altre espressioni di umanità, bollate dalla storia (che ricordiamo essere da sempre la storia dei vincitori) come utopie. Ma queste utopie possono essere tentativi di mettere in atto società complesse, la somma di tutte le complicazioni necessarie se vogliamo parlare di libertà. Alla loro base, stanno passione e complessità. Ma oggi assistiamo invero al trionfo della semplificazione.

Uomini senza passione o empatia

Non la gioia, non il brivido

verso ciò che non conoscono

l’ignoto? il salto nel buio?

Partendo dall’empatia e scendendo a compromessi con la ragione, tra le qualità della propria utopia – passione potremmo indicare l’equilibrio tra raziocinio e spregiudicatezza, tra autorità e potere, tra insubordinazione ed umiltà.

La consapevolezza di sè, la famosa coscienza, cresce misurandosi con le coscienze degli altri con cui siamo in relazione, con il sentirsi parte di un tutto, con l’uscire allo scoperto nell’avventura sociale, con il sentirsi liberi nonostante tutto intorno cerchi di subordinarci al ‘dogma’ secondo il quale la nostra capacità di autodeterminazione deve essere rintuzzata dall’osservazione di rituali e leggi volte alla governabilità.

Serve a nulla distinguere tra differenti modalità di governo quando queste condividono le medesime basi, e quando l’unico potere per noi degno di nome non ammette l’istituzione della sopraffazione e del privilegio, ma si fonda sull’autorevolezza che siamo in grado di riconoscere ed apprezzare.

L’autorità in questa società malata deriva da un principio mantenuto con la forza. Un principio, che opera dunque dall’inizio del processo sociale, per impedirne altri sviluppi.

A questo principio, in un quadro più desolante, possiamo associare la pretesa autonomia da parte delle scienze nei confronti delle arti. La storia degli ultimi secoli mostra come l’autonomizzarsi delle scienze dal consesso delle arti chiuda definitivamente la partita verso il progredire del pensiero inteso come un tutto.

L’unico ad andare avanti è il pensiero scientifico. Ma senza sinergia nè confronto con altre facoltà del pensiero, la direzione è quella già individuata… da profitto, sfruttamento e controllo sociale.

Quel sistema che sotto il nome di “capitalismo” ha emancipato ed autonomizzato su scala globale il “mercato” ha fatto diversi salti di prospettiva. Spazzati via i campi locali della comunità e del confronto, costruito il campo del pensiero unico – assolutamente inopinabile -, ci prospetta come ineluttabile una dittatura della semplificazione che avrebbe del fantascientifico se non fosse reale. L’internet delle cose nasce per realizzarla.

Id2020 : agenda digitale globale. Necessario corollario: il fascismo sanitario

 

Fatti – e Misfatti – della Resistenza

Gli anni passano, la storia viene riscritta, e siamo sommersi da frullati di idiozie ad ampio spettro.

E’ per noi importante inserire degli elementi di discussione e per questo motivo mettiamo qui alcune lettere, alcuni fatti di cui siamo a conoscenza.

Contrasti con il CLN provinciale

Contrasti con il CLN di Cuneo e Mondovi`

Contrasti con l’ANPI provinciale

La mitica Guzzi 500: requisita dal partigiano Silvio Bonfante (Cion) ad un commerciante, alleghiamo la lettera del figlio del commerciante che si lamenta della requisizione (per la cronaca, gli verra’ riconosciuta una somma in denaro)

 

Tutti i documenti riportati sono o materiale originale in nostro possesso, o riportati nel libro di Francesco Biga “U curtu”

riflessione autonomizzante di fine gennaio

Dividere la societa’ in classi e’ da sempre una tecnica funzionale a togliere coesione e, dunque, forza agli sfruttati : divide et impera dicevano i romani. E’ molto piu’ semplice per l’azione di governo avere a che fare con masse organizzate rispetto ad aver a che fare con degli individui dotati di autonomia di pensiero ed azione, per loro natura “ingovernabili”.

L’istanza sociale portata avanti dagli individui nei confronti della generalita’ degli sfruttati ha poca affinita’ con le rivendicazioni di carattere “corporativo”, quali ad esempio sono diventate le “rivendicazioni operaie”.

L’aver pontificato sulla “classe operaia” come foriera di un’ (improbabile) rivoluzione e’ stato un’utile artificio nelle mani di una ristretta cerchia di padroni e burocrati: riferirsi ad una classe piuttosto che alla totalita’ dei lavoratori ha avuto come risultato quello di frantumare la coscienza politica (potenzialmente in grado di unire ogni sfruttato) in sub-coscienze molto piu’ facilmente inquadrabili e gestibili.

Da decenni assistiamo a sterili rivendicazioni corporative – sciopero degli insegnanti, dei medici, dei tassisti, degli autotrasportatori, dei metalmeccanici, poi gli studenti e cosi’ via, in un continuum di nonsense. (tutti a guardare alla francia: eh, ma quando scioperano loro e’ tutta un’altra cosa…)

Il ruolo dei sindacati non e’ stato quello di unire le istanze dei lavoratori quanto piuttosto quello di dividerle per meglio contenerle, nella logica della molteplicita’ degli schieramenti di cui sono emanazione per la cogestione del potere politico.

Ma cio’ di cui hanno bisogno i lavoratori non e’ l’ennesimo adescamento nella divisione delle briciole ai pezzenti, semmai il ritrovare forma e sostanza di un percorso politico che la faccia finita, una volta per tutte, con la liturgia della rappresentazione in parlamento.

Sedersi alla destra, al centro o alla sinistra negli scranni non ha mai significato nulla per coloro che vivono inseguendo ideali di liberta’ e giustizia sociale. L’aula del parlamento potra’ litigare e trovarsi in disaccordo su tante questioni, ma da sempre, sempre sara’ unanime in una cosa: infamare, calunniare, braccare e in ultimo gettare nelle patrie galere i ribelli all’ordine costituito, pericolosi per la tenuta dello Stato.

E quando il problema sta proprio nella forma Stato? Diviene di impossibile soluzione. Nella cornice della democrazia rappresentativa, la soluzione e’ all’interno del problema. In termini di sostanza, la democrazia parlamentare mira al mantenimento della sua elefantiaca struttura, sulle spalle dei lavoratori.

La rivoluzione non sara’ mai calata dall’alto, ma puo’ respirare quando si infrangono barriere e divisioni sociali. Si puo’ respirare aria di rivoluzione nell’autonoma organizzazione dei lavoratori, nella solidarieta’ tra gli oppressi, nella condivisione delle risorse per crescere insieme, nella difesa di se, dei propri spazi, e dei propri territori.

Qui, ed ora, e’ tutto da rifare – da zero. O forse, da meno uno.

In un percorso di liberazione ognuno da’ il proprio contributo e non e’ sicuramente tramite il mansueto meccanismo della delega (dal partito al sindacato per arrivare al magistrato e al poliziotto), che potremo trasformarci da greggi in uomini liberi.

Per quanto ci riguarda direttamente, all’interno dell’esperienza del circolo Matteotti stiamo facendo i nostri primi passi nell’ambito dell’autonoma organizzazione del lavoro.

Abbiamo costituito una cooperativa di comunita’ di produzione e lavoro, la Cooperativa Istrice, e bandito nel suo statuto ogni forma di lavoro subordinato e parasubordinato. Ci ha fatto specie scoprire che nel lungo percorso delle cooperative, con tutto quel popo’ di quadri e intellighenzia di sinistra “al lavoro” dagli anni ’50 ad oggi, nessuno abbia mai rilevato la profonda contraddizione in termini tra cooperazione e subordinazione, nell’ambito del lavoro.

Abbiamo scoperto che…

Il lavoratore autonomo non contratta la propria forza lavoro, il che snaturerebbe la sua autonomia rendendolo subordinato verso il committente, ma contratta opere e servizi, mentre la contrattazione del lavoro e’ appannaggio solo del sindacato.

Lavoratore autonomo e imprenditore sono scelte radicalmente differenti, su cui e’ stata creata ad arte confusione per mischiare le carte in tavola e rendere piu’ difficoltoso un accesso diretto al mondo del lavoro: confusione necessaria per la creazione di schiere di parassiti e addetti alla burocrazia. Un lavoratore autonomo ad esempio non ha costi fissi annuali relativi alla propria partita iva diversamente da un imprenditore, e paga una percentuale di quanto fattura.

Contenere i lavoratori nei ristretti ambiti della delega e della dipendenza e’ stato per decenni l’imperativo delle politiche di sinistra: utile alla nefasta causa della frammentazione dei lavoratori e’ stato l’attacco sollevato su tutti i fronti ai lavoratori autonomi ed agli imprenditori: accusare l’evasione fiscale e il lavorare in nero come causa importante del malaffare in italia e’ la prima fake-news ante litteram diffusa dalla propaganda di un regime che voleva (e ci e’ ben riuscito) sabotare l’autonomia e spezzare le gambe ai lavoratori.

A un commerciante che paga le tasse per tutta la vita viene riconosciuta, in termini percentuali, meno pensione rispetto a un lavoratore subordinato. Un lavoratore autonomo che abbia dei figli si vede riconosciuto dallo stato un assegno familiare di 10,21 euro al mese per ogni figlio mentre un coltivatore diretto ha diritto ad 8,21 euro al mese a figlio.

Pensiamo che un primo passo verso l’emancipazione dal salario e la riappropriazione del proprio lavoro sia quello della gestione autonoma del tempo che si dedica al lavoro.

Ci siamo assunti, fondando la Cooperativa Istrice, la responsabilita’ delle nostre scelte. Se da un lato l’aver dato un calcio alla cortina di ferro dell’apparato burocratico para-statale ha aperto un piccolo varco nel mondo del lavoro, non sta tuttavia a noi l’onere di allargare la breccia. Sta a tutti quanti ricevono questo messaggio. Dal canto nostro, siamo pronti a condividere con altri le conoscenze che man mano acquisiamo nella gestione diretta degli appalti d’opera e di servizi e nella necessaria rendicontazione di fronte allo stato e all’autorita’ fiscale. Ben vengano i contributi di altri lavoratori che smettano i panni frusti della subordinazione per indossare abiti piu’ aderenti ai propri desideri. La sottomissione non paga, ed e’ vero ora piu’ che mai.

La cooperativa istrice ed il circolo Matteotti, che la ospita, promuovono la costituzione di una Lega Federata dei Lavoratori In-subordinati: una rete federata di lavoratori organizzati in strutture indipendenti, e in contatto tra di loro, non sara’ la tanto agognata rivoluzione, ma con i tempi che corrono rappresenta la miglior risposta che possiamo dare.

Lunga vita all’istrice! Lunga vita al circolo Matteotti!

Nuova vita alla lotta degli oppressi contro gli oppressori!