Archivi categoria: discussione

La storia si fa nelle piazze ma si consuma nelle aule di tribunale

La storia si fa nelle piazze ma si consuma nelle aule di tribunale

(l’autore dello scritto usa il plurale maiestatis per volonta’ di potenza)

Non ha molto senso partire dalle accuse di un pubblico ministero e amplificate da scribacchini in costante ricerca di affiatamento col padrone per tirare a campare. Uno sbraitare che non ci interessa minimamente.

Gli ideali di giustizia e liberta’ a cui diamo corpo fanno parte di una lunga tradizione, che mai si e’ sopita e mai si sopira’ semplicemente per il fatto che e’ un portato della vita, della passione, e soprattutto della non rassegnazione al mondo di merda in cui ci vogliono rinchiudere.

Un mondo di umiliazione, sopraffazione ed algoritmica prepotenza, un mondo normalizzato all’accettazione di ogni imposizione.

E cosi’ quel giorno, nella gestione militare inaugurata al g8, con grate di ferro alte 3 metri per nascondere quattro stronzi, decine di sbirri in assetto antisommossa con i loro lanciagranate ci volevano gasare, e in effetti ci sono in parte riusciti.

Ma ancora fischiava il vento in corvetto, e respingeva i gas al mittente, andando a stazionare sulla ventina di teste rasate costrette ad inalazione perpetua.

Tecnicamente, e’ stato l’operato del vento, in sinergia con l’azione dei tutori dell’ordine, a disperdere il comizio del partito fascista legalmente ricostituito.

E quando le vetrine di Mangini sotto il colpo delle granate della polizia sono andate in frantumi, abbiamo tutti pensato – e’ vero – all’esproprio delle fragranti brioche del merda, ma – lo ripeto – e’ stata solo compartecipazione psichica.

uno dei partecipanti ai “fatti di piazza corvetto” del maggio 2019

25 Aprile 2021

25 aprile 2021

il vecchio racconta che solo i pesci morti nuotano nella corrente e, da quel lontano 1945 ad oggi, la corrente - diventata un fiume in piena - ha divelto ogni argine.

Certo bisogna farne di strada, da una ginnastica d'obbedienza,fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza
Però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni

La narrazione, nella pretesa autonomia delle scienze dal consesso delle arti, si è fatta nel tempo sistema. Un sistema di liquefazione politica, in cui i valori e i riferimenti adottati, oramai informi, assumono via via le sembianze dei diversi containersche li ospitano.

Arrivando da decenni di avallamento delle forme più estreme di marketing dello stesso stantio prodotto, che porta il nome di società civile, ci troviamo oggi di fronte alla liquidazione di intere comunità e al loro fatalistico upgradetecno-sociale.

Nuotiamo nella corrente madre di tutte le incomprensioni, un oceano, popolato da zombies, chiamato senso civico.
Possiamo venir educati alle buone maniere, alla cura e al rispetto verso il prossimo, alla solidarietà. Ma al senso civiconon vieni educato bensì istruito.

Nell'implementazione del set di istruzioni del nuovo ordine mondiale, nell'atto di trasformare il libero arbitrio in obbedienza, il primo stepè rappresentato dalla paura, il secondo dalla perdita di fiducia nell'umanoin quanto tale, il terzo dalla catastrofe.

Fanculo ad Alexa, all'avvento del feticcio intelligenza
artificiale
,alla piccola talpa autoritaria e all'aquila imperiale.

Rimbocchiamoci le maniche, insieme, per riafferrare il timone della storia. Il treno determinista corre a folle velocita' lungo il binario morto, le sue carrozze politiche ammuffite. Ricominciamo a camminare.

la nostra passione per la libertà è più forte di ogni autorità

 

Io ero Sandokan

(tratta da C'eravamo tanto amati, di Ettore Scola - Musica di Trovaioli)

intro:
Am
D
Am
D
Am

Am
E
Am
F
G
C

Marciavamo
con l'anima in spalla nelle tenebre lassù

F
G
E
Am
F
G
E

Ma
la lotta per la nostra libertà il cammino ci illuminerà

Am
E
Am
F
G
C

Non
sapevo quale era il tuo nome neanche il mio potevo dir

F
G
E
Am
F
G
Am
D
Am

Il
tuo nome di battaglia era Pinin e io ero Sandokan

Am
E
Am
F
G
C

Eravam
tutti pronti a morire ma della morte noi mai parlavam

F
G
Am
E
Am

Parlavamo
del futuro se il destino ci allontana

F
G
Am
F
G
Am
D
Am

Il
ricordo di quei giorni sempre uniti ci terra

Am
E
Am
F
G
C

E
ricordo che poi venne l'alba e poi qualche cosa di colpo cambiò

F
G
Am
E
Am

Il
domani era venuto e la notte era passata

F
G
Am
F
G
Am

C'era
un sole su nel cielo sorto nella libertà.

 

 

Pagine della Resistenza in Liguria

Una raccolta scelta di scritti, articoli e documenti contro il generale percorso di omologazione della Resistenza   

Un articolo per Nunatak, Racconti_della_Resistenza

Note per una discussione sulla resistenza, tenuta a Pigna

Trovati in rete:

blog, dedicato alla Resistenza nell’Imperiese

Non era un ammiraglio, era il Curto

Nino Siccardi

Chi non vuole chinare la testa con noi prenda la strada dei monti | POLISTUDIO di Remo Schellino

È nostra intenzione costituire una Brigata d’Assalto per la guerriglia

 

Rete di scambio

Reti di scambio esistenti. Qualche spunto di
riflessione.

L’idea di lavorare per guadagnare del denaro e’ cosi’ inveterata che un’economia che non parta da questo presupposto lascia inizialmente di stucco.

Voglio parlarvi della nostra Rae de cangiu a Torsio. La nostra moneta e` la palanca, che ha un valore equivalente all’euro. Tutto cio’ che misuri in euro, lo puoi misurare con le palanche.

La continuita’ inoltre sta nel fatto che, come da antiche tradizioni, le palanche non si accumulano.

Siamo cosi’ abituati alla relazione mercantile “do ut des” che facciamo fatica anche solo a ipotizzare che un’altra relazione di scambio sia alla nostra portata.

Chi partecipa alla Rae a Torsio condivide mutualmente la responsabilita’, e la gestione, della propria economia di rete. Il principio ispiratore e’ che ognuno di noi all’interno della rete ha un bilancio tra crediti e debiti. Tutti partono inizialmente col bilancio a zero.

Quando compriamo qualcosa da qualcuno, quel qualcuno registra sulla rete la transazione: Il venditore ha un attivo di 100 palanche, il compratore e’ in rosso di 100 palanche.

La propria esposizione in bilancio e’ la nostra cartina di tornasole nella rete e serve ai venditori per valutare se concludere transazioni o meno con noi. Ma lo scambio prescinde dalla disponibilita’ di palanche. Viene contratto un debito verso la Rae e non verso il venditore. Il venditore registrando la transazione acquisisce le palanche che gli permettono di comprare a sua volta dagli altri venditori e cosi’ via.

Il compratore dal canto suo ha il bilancio in rosso, e se continua a comprare senza mai vendere nulla a nessuno, il suo conto in rosso continuera’ a salire. Arrivato a un sacco di palanche, qualcuno della Rae potrebbe dirgli che cosi’ la rete non puo’ funzionare. Potrebbe anche dirgli che, superata la soglia del sacco di palanche di rosso, entra in uno stato critico dove gli altri soci non vogliono piu’ avere a che fare con lui… a meno che non cacci la grana: facendo da banca, dotando la rete dell’equivalente in euro delle palanche da lui (ab)usate, ottiene l’equivalente del ricomprarsi il debito per poter ripartire da zero. Un segnale del non perfetto funzionamento della Rae, che tuttavia fornisce la Rae di una disponibilita’ monetaria all’interno dell’economia di mercato in cui e’ immersa…  ad esempio, la Rae potrebbe comprare le preziose palanche dei soci in cambio del vile danaro, se un socio della Rae ha bisogno di liquidita’. Ogni scenario apre risvolti inediti ma nel caso peggiore al massimo ci si puo’ incagliare nell’economia di mercato da cui si era partiti.

Una rete del genere, innestata su un percorso di mutualita’ e autogestione in continuo confronto col il dissolvimento delle comunita’ locali e la dispersione nella cosiddetta comunita’ globale, serve a dare linfa a percorsi di transizione verso altri orizzonti.

Nella Rae non puoi comprare con le palanche tutto cio’ che compri in euro. Ma non tutto cio’ che puoi comprare con le palanche  lo potrai comprare nell’economia di mercato.  La grana infatti, diversamente dalle palanche, la devi prima acchiappare.

Seguendo il Link https://www.community-exchange.org/home/join/ ci si puo’ iscrivere, selezionando “Italy” e poi “Rae de Cangiu a Torsio” alla Rae. Dajeee

 

Pensiero unico e semplificazione per la dittatura globale

27 Novembre 2019

Riflessioni_a_briglia_sciolta a cura di vlad

basse_frequenze@resist.ca

Da più parti, e nei più svariati ambiti, assistiamo ad un trionfo della semplificazione associato ad un generale decadimento della qualità più importante per un essere umano, che parte dalla capacità di discernere e comprendere i meccanismi in atto per arrivare ad intraprendere una decisione. Se su un piatto della bilancia abbiamo la dipendenza dal sistema, servitu’ piu’ o meno interiorizzata di facile assimilazione, sull’altro dobbiamo porre la ricerca, difesa, valorizzazione ed incremento di una scelta di autonomia e del relativo contesto che la rende possibile: il diavolo si trova nei dettagli. L’omologazione -distruzione di ogni contesto tramite irrigidimento dell’istituzione- corrisponde alla necessità di contenere una situazione sociale che prevede un orizzonte di miseria sempre più incalzante, e si rende necessaria quando i governati mostrino un temperamento incline alla ribellione ed ostile al controllo.

L’irrigidimento delle istituzioni corrisponde alla necessità di contenere una situazione sociale che prevede un orizzonte di miseria sempre più incalzante, ed è reso necessario quando i governati mostrino un temperamento incline alla ribellione ed ostile al controllo.

Il dominio incontrastato della ragione, causa e risultato di un tenore di vita ai più alti livelli della social democrazia (a spese degli sfruttati), pare istintivamente disumano a chi parta da altre espressioni di umanità, bollate dalla storia (che ricordiamo essere da sempre la storia dei vincitori) come utopie. Ma queste utopie possono essere tentativi di mettere in atto società complesse, la somma di tutte le complicazioni necessarie se vogliamo parlare di libertà. Alla loro base, stanno passione e complessità. Ma oggi assistiamo invero al trionfo della semplificazione.

Uomini senza passione o empatia

Non la gioia, non il brivido

verso ciò che non conoscono

l’ignoto? il salto nel buio?

Partendo dall’empatia e scendendo a compromessi con la ragione, tra le qualità della propria utopia – passione potremmo indicare l’equilibrio tra raziocinio e spregiudicatezza, tra autorità e potere, tra insubordinazione ed umiltà.

La consapevolezza di sè, la famosa coscienza, cresce misurandosi con le coscienze degli altri con cui siamo in relazione, con il sentirsi parte di un tutto, con l’uscire allo scoperto nell’avventura sociale, con il sentirsi liberi nonostante tutto intorno cerchi di subordinarci al ‘dogma’ secondo il quale la nostra capacità di autodeterminazione deve essere rintuzzata dall’osservazione di rituali e leggi volte alla governabilità.

Serve a nulla distinguere tra differenti modalità di governo quando queste condividono le medesime basi, e quando l’unico potere per noi degno di nome non ammette l’istituzione della sopraffazione e del privilegio, ma si fonda sull’autorevolezza che siamo in grado di riconoscere ed apprezzare.

L’autorità in questa società malata deriva da un principio mantenuto con la forza. Un principio, che opera dunque dall’inizio del processo sociale, per impedirne altri sviluppi.

A questo principio, in un quadro più desolante, possiamo associare la pretesa autonomia da parte delle scienze nei confronti delle arti. La storia degli ultimi secoli mostra come l’autonomizzarsi delle scienze dal consesso delle arti chiuda definitivamente la partita verso il progredire del pensiero inteso come un tutto.

L’unico ad andare avanti è il pensiero scientifico. Ma senza sinergia nè confronto con altre facoltà del pensiero, la direzione è quella già individuata… da profitto, sfruttamento e controllo sociale.

Quel sistema che sotto il nome di “capitalismo” ha emancipato ed autonomizzato su scala globale il “mercato” ha fatto diversi salti di prospettiva. Spazzati via i campi locali della comunità e del confronto, costruito il campo del pensiero unico – assolutamente inopinabile -, ci prospetta come ineluttabile una dittatura della semplificazione che avrebbe del fantascientifico se non fosse reale. L’internet delle cose nasce per realizzarla.

Id2020 : agenda digitale globale. Necessario corollario: il fascismo sanitario

 

Fatti – e Misfatti – della Resistenza

Gli anni passano, la storia viene riscritta, e siamo sommersi da frullati di idiozie ad ampio spettro.

E’ per noi importante inserire degli elementi di discussione e per questo motivo mettiamo qui alcune lettere, alcuni fatti di cui siamo a conoscenza.

Contrasti con il CLN provinciale

Contrasti con il CLN di Cuneo e Mondovi`

Contrasti con l’ANPI provinciale

La mitica Guzzi 500: requisita dal partigiano Silvio Bonfante (Cion) ad un commerciante, alleghiamo la lettera del figlio del commerciante che si lamenta della requisizione (per la cronaca, gli verra’ riconosciuta una somma in denaro)

 

Tutti i documenti riportati sono o materiale originale in nostro possesso, o riportati nel libro di Francesco Biga “U curtu”

riflessione autonomizzante di fine gennaio

Dividere la societa’ in classi e’ da sempre una tecnica funzionale a togliere coesione e, dunque, forza agli sfruttati : divide et impera dicevano i romani. E’ molto piu’ semplice per l’azione di governo avere a che fare con masse organizzate rispetto ad aver a che fare con degli individui dotati di autonomia di pensiero ed azione, per loro natura “ingovernabili”.

L’istanza sociale portata avanti dagli individui nei confronti della generalita’ degli sfruttati ha poca affinita’ con le rivendicazioni di carattere “corporativo”, quali ad esempio sono diventate le “rivendicazioni operaie”.

L’aver pontificato sulla “classe operaia” come foriera di un’ (improbabile) rivoluzione e’ stato un’utile artificio nelle mani di una ristretta cerchia di padroni e burocrati: riferirsi ad una classe piuttosto che alla totalita’ dei lavoratori ha avuto come risultato quello di frantumare la coscienza politica (potenzialmente in grado di unire ogni sfruttato) in sub-coscienze molto piu’ facilmente inquadrabili e gestibili.

Da decenni assistiamo a sterili rivendicazioni corporative – sciopero degli insegnanti, dei medici, dei tassisti, degli autotrasportatori, dei metalmeccanici, poi gli studenti e cosi’ via, in un continuum di nonsense. (tutti a guardare alla francia: eh, ma quando scioperano loro e’ tutta un’altra cosa…)

Il ruolo dei sindacati non e’ stato quello di unire le istanze dei lavoratori quanto piuttosto quello di dividerle per meglio contenerle, nella logica della molteplicita’ degli schieramenti di cui sono emanazione per la cogestione del potere politico.

Ma cio’ di cui hanno bisogno i lavoratori non e’ l’ennesimo adescamento nella divisione delle briciole ai pezzenti, semmai il ritrovare forma e sostanza di un percorso politico che la faccia finita, una volta per tutte, con la liturgia della rappresentazione in parlamento.

Sedersi alla destra, al centro o alla sinistra negli scranni non ha mai significato nulla per coloro che vivono inseguendo ideali di liberta’ e giustizia sociale. L’aula del parlamento potra’ litigare e trovarsi in disaccordo su tante questioni, ma da sempre, sempre sara’ unanime in una cosa: infamare, calunniare, braccare e in ultimo gettare nelle patrie galere i ribelli all’ordine costituito, pericolosi per la tenuta dello Stato.

E quando il problema sta proprio nella forma Stato? Diviene di impossibile soluzione. Nella cornice della democrazia rappresentativa, la soluzione e’ all’interno del problema. In termini di sostanza, la democrazia parlamentare mira al mantenimento della sua elefantiaca struttura, sulle spalle dei lavoratori.

La rivoluzione non sara’ mai calata dall’alto, ma puo’ respirare quando si infrangono barriere e divisioni sociali. Si puo’ respirare aria di rivoluzione nell’autonoma organizzazione dei lavoratori, nella solidarieta’ tra gli oppressi, nella condivisione delle risorse per crescere insieme, nella difesa di se, dei propri spazi, e dei propri territori.

Qui, ed ora, e’ tutto da rifare – da zero. O forse, da meno uno.

In un percorso di liberazione ognuno da’ il proprio contributo e non e’ sicuramente tramite il mansueto meccanismo della delega (dal partito al sindacato per arrivare al magistrato e al poliziotto), che potremo trasformarci da greggi in uomini liberi.

Per quanto ci riguarda direttamente, all’interno dell’esperienza del circolo Matteotti stiamo facendo i nostri primi passi nell’ambito dell’autonoma organizzazione del lavoro.

Abbiamo costituito una cooperativa di comunita’ di produzione e lavoro, la Cooperativa Istrice, e bandito nel suo statuto ogni forma di lavoro subordinato e parasubordinato. Ci ha fatto specie scoprire che nel lungo percorso delle cooperative, con tutto quel popo’ di quadri e intellighenzia di sinistra “al lavoro” dagli anni ’50 ad oggi, nessuno abbia mai rilevato la profonda contraddizione in termini tra cooperazione e subordinazione, nell’ambito del lavoro.

Abbiamo scoperto che…

Il lavoratore autonomo non contratta la propria forza lavoro, il che snaturerebbe la sua autonomia rendendolo subordinato verso il committente, ma contratta opere e servizi, mentre la contrattazione del lavoro e’ appannaggio solo del sindacato.

Lavoratore autonomo e imprenditore sono scelte radicalmente differenti, su cui e’ stata creata ad arte confusione per mischiare le carte in tavola e rendere piu’ difficoltoso un accesso diretto al mondo del lavoro: confusione necessaria per la creazione di schiere di parassiti e addetti alla burocrazia. Un lavoratore autonomo ad esempio non ha costi fissi annuali relativi alla propria partita iva diversamente da un imprenditore, e paga una percentuale di quanto fattura.

Contenere i lavoratori nei ristretti ambiti della delega e della dipendenza e’ stato per decenni l’imperativo delle politiche di sinistra: utile alla nefasta causa della frammentazione dei lavoratori e’ stato l’attacco sollevato su tutti i fronti ai lavoratori autonomi ed agli imprenditori: accusare l’evasione fiscale e il lavorare in nero come causa importante del malaffare in italia e’ la prima fake-news ante litteram diffusa dalla propaganda di un regime che voleva (e ci e’ ben riuscito) sabotare l’autonomia e spezzare le gambe ai lavoratori.

A un commerciante che paga le tasse per tutta la vita viene riconosciuta, in termini percentuali, meno pensione rispetto a un lavoratore subordinato. Un lavoratore autonomo che abbia dei figli si vede riconosciuto dallo stato un assegno familiare di 10,21 euro al mese per ogni figlio mentre un coltivatore diretto ha diritto ad 8,21 euro al mese a figlio.

Pensiamo che un primo passo verso l’emancipazione dal salario e la riappropriazione del proprio lavoro sia quello della gestione autonoma del tempo che si dedica al lavoro.

Ci siamo assunti, fondando la Cooperativa Istrice, la responsabilita’ delle nostre scelte. Se da un lato l’aver dato un calcio alla cortina di ferro dell’apparato burocratico para-statale ha aperto un piccolo varco nel mondo del lavoro, non sta tuttavia a noi l’onere di allargare la breccia. Sta a tutti quanti ricevono questo messaggio. Dal canto nostro, siamo pronti a condividere con altri le conoscenze che man mano acquisiamo nella gestione diretta degli appalti d’opera e di servizi e nella necessaria rendicontazione di fronte allo stato e all’autorita’ fiscale. Ben vengano i contributi di altri lavoratori che smettano i panni frusti della subordinazione per indossare abiti piu’ aderenti ai propri desideri. La sottomissione non paga, ed e’ vero ora piu’ che mai.

La cooperativa istrice ed il circolo Matteotti, che la ospita, promuovono la costituzione di una Lega Federata dei Lavoratori In-subordinati: una rete federata di lavoratori organizzati in strutture indipendenti, e in contatto tra di loro, non sara’ la tanto agognata rivoluzione, ma con i tempi che corrono rappresenta la miglior risposta che possiamo dare.

Lunga vita all’istrice! Lunga vita al circolo Matteotti!

Nuova vita alla lotta degli oppressi contro gli oppressori!

2 parole per presentarci…

…due parole per presentarci

Il filo comune che ci porta a riconoscerci l’uno nell’altro può ben essere descritto dalla semplice parola “autogestione”: partire da se, dalle proprie forze per costruire il proprio futuro e quello dei propri simili, senza accettare a cuor leggero il compromesso che rende tutto più facile: sapendo che ogni compromesso fatto con se stessi è una spina nel fianco, che possiamo sopportare soltanto fino a un certo punto.

Siamo al fianco, per tanto, di chi si mette in discussione.

Pensiamo di attivarci con un luogo materiale dove poterci incontrare e condividere il pane, non solo in senso figurato, almeno una volta alla settimana. Dove riversare le eccedenze dell’orto, già che molti di noi sono, ognuno a suo modo, gente di campagna. Dove ognuno mette in comune le attrezzature che ritiene possano sopportare una simile prova.

Cercheremo di farne un luogo dove le distanze, fino ad arrivare a quelle emotive, siano azzerate, un luogo dove perlomeno sia reso semplice l’esporre agli altri un proprio problema, nel tentativo di trovarne una soluzione senza cadere nella trappola dell’assistenzialismo. Nessuno di noi ha in stima le parole servizio, utente, evento.

Siamo esploratori del vivente. Ci piace vivere la vita a piene mani, manifestando così la nostra voglia di vivere, tessendo e intrecciando una tela.

Un percorso di autogestione è un percorso di qualità della vita. Qualche buontempone potrà aver pensato che la merce di qualità debba avere il suo prezzo, e per questo sono nate le botteghe frequentate dai radical-chic, in sinergia con un processo industriale che da da mangiare a basso costo. Ma dipendendo meno dal denaro per soddisfare i propri bisogni chi vive nell’ottica dell’autogestione riprende a vivere uscendo dal ruolo di consumatore.

Ridare vita al cibo, alle arti e ai mestieri, alla cultura significa che il circolo si adopererà nella condivisione, come prosecuzione dei nostri percorsi individuali, in momenti atti a soddisfare le differenti necessità, siano queste bisogni materiali, o ludici, o di approfondimento. Fermo restando il bisogno del circolo e di chi vi fa riferimento di mantenersi in vita, vale a dire che il circolo ospiterà iniziative volte a conseguire un ricavato economico, siano esse cene di autofinanziamento o iniziative varie.

E chissà che il circolo non possa anche diventare, per chi come noi è abituato a scambiarsi favori senza ricorrere al denaro, un luogo dove chi ne ha bisogno possa organizzarsi in piena autonomia e contare sulla solidarietà e l’appoggio materiale degli altri nel sostenere un progetto. Un luogo dunque aperto a intrecciare relazioni, che si opponga nel concreto alla disgregazione che divampa nella società come un fiume in piena.