Societa’ mutuo soccorso

Patto sociale di mutuo soccorso degli aderenti alla lega operai e contadini insubordinati

Organizzazione di una mutualita’ assistenziale nella forma originaria delle societa’ di mutuo soccorso, ovvero assumendosi il rischio e non esternalizzando a broker assicurativi il reperimento dei fondi necessari a coprire i costi dell’assistenza ai soci: il vecchio paradigma di una mutualita’ che non vuole tradire la radice del conflitto con il sistema affaristico dominante.

Coltivare insieme percorsi di autonomia implica, raggiunto un certo livello di maturita’, l’affrontare l’ambito del mutuo soccorso.

Ci si puo’ trovare spiazzati nell’ambito sanitario, quando si esce dai rigidi paletti dell’assistenza fornita dall’inail (ovvero la copertura esclusiva degli incidenti occorsi sul lavoro); o di essere impossibilitati a lavorare per le cause piu’ svariate, come successo con l’imposizione di segregazioni e confinamenti sanitari; o in difficolta’ per cause di altra natura.

E’ li che aver costituito una rete fiduciaria fa la differenza. Le societa’ di mutuo soccorso nascevano per mettere i lavoratori in grado di far fronte comune alle avversita’. Furono sciolte in epoca fascista per la loro attivita’ politica (sono state le societa’ di mutuo soccorso a dare origine alla camera del lavoro, e ai sindacati che ne avrebbero poi tradito integralmente le premesse) e sono state successivamente reintrodotte ma nella versione esclusivamente solidaristica, l’unica compatibile con la politica del rimpastone social-democratico che aveva tra i suoi punti fermi quel continuo esautorare ogni spinta politica non tesa alla conciliazione. A noi ricucire i fili spezzati … in vista di ulteriori possibili inasprimenti, tesi a limitare l’agibilita’ sociale di chi si ostinera’ a non prestare il fianco alla normalizzazione delle pratiche extra-legali, in atto da tempo nelle alte sfere della dirigenza e del paraStato.

Cantiere aperto “cercansi medici & operatori sanitari preferibilmente disorganici al sistema sanitario nazionale, per affrontare insieme le pandemie del futuro”

In via iniziale sceglieremo la strada piu’ semplice, ovvero quello della costituzione di una societa’ di mutuo soccorso che non costituisce fondi integrativi sanitari, per il semplice motivo che fino a 50.000 euro di contributi dei soci non ha obbligatorieta’ di iscrizione al registro delle imprese, e che potra’ dunque esercitare il proprio mutualismo entro quel limite. Poi si vedra’.

Segue una carrellata di riferimenti di legge e normative relative alla costituzione di Societa’ di mutuo soccorso.

Società di mutuo soccorso, cos’è

Potremmo definire le società di mutuo soccorso come delle organizzazioni costituite da persone, caratterizzate da finalità non di lucro. Queste organizzazioni si associano e conferiscono un contributo economico allo scopo principale di ottenere prestazioni di assistenza e sussidi, in particolari casi di bisogno. Questi ultimi sono regolamentati in modo specifico, secondo la normativa vigente.

Le società di mutuo soccorso sono dunque organizzazioni che promuovono il concetto e la cultura di mutua e mutualità: quest’ultima rappresenta infatti un valore universale della società e della vita comune degli uomini.

Ecco di seguito le principali caratteristiche di una società di mutuo soccorso:

  • Sono enti di beneficenza, senza scopo di lucro: queste organizzazioni nascono storicamente per affermare nella società un diritto universale, sostenuto dalla carità e dalla beneficenza. I soci di queste società sono tenuti al versamento di una quota o contributo annuo. L’entità di quest’ultimo sarà determinato dalla tipologia di prestazioni sottoscritte. La somma globale di tutti i contributi rappresenterà il patrimonio della società: parte del patrimonio verrà utilizzato per sostenere un singolo socio che si trova nelle necessità di bisogno, ovviamente sulla base di una serie di regole condivise
  • Sono aperte a tutta la collettività, secondo i rispettivi statuti: queste società non selezionano o discriminano i soci, per condizioni individuali o soggettive. Gli enti potranno semplicemente adottare delle regole di carattere generale, per garantire la sostenibilità del progetto societario e disincentivare associazioni con finalità opportunistiche.
  • Escludono ogni tipo di remunerazione di capitale: in queste società non vi sono azionisti da retribuire, ma solamente soci da sostenere in caso di bisogni indicati espressamente dal regolamento.
  • Garantiscono ad ogni socio l’assistenza a vita: il rapporto di associazione è esclusivamente volontario e non potrà essere interrotto unilateralmente da parte della società (per limiti di età, aggravamento del tasso di rischio, ovvero quando per ragioni di malattia, a volte anche cronica, il socio ricorrerà frequentemente al rimborso delle spese sanitarie o prestazioni
  • Non svolgono attività di impresa commerciale e non applicano il trasferimento del rischio: queste società operano esclusivamente in virtù del proprio principio solidaristico della ripartizione degli oneri. Il rapporto di mutuo soccorso rappresenta infatti un patto tra persone, regolato da vantaggi e obblighi specifici
  • Promuovono la partecipazione alla vita associativa: quest’ultima è improntata sulla conoscenza delle regole comuni, sulla assoluta trasparenza delle decisioni prese, e ancora sulla formazione e l’educazione. Gli amministratori di queste società dovranno sempre garantire ai propri soci la massima trasparenza degli atti e di ogni forma di rendicontazione. Tutti i soci potranno partecipare in modo democratico ai rispettivi organi societari, alla loro designazione, e ancora a tutte le scelte strategiche prese dalla società di mutuo soccorso, mediante lo strumento del voto.

Differenza tra polizze di mutuo soccorso e assicurazioni sanitarie

La principale differenza sostanziale tra un’assicurazione sanitaria e una polizza di mutuo soccorso è rappresentata dal fatto che quest’ultima non opera con scopo di lucro. In qualsiasi forma di assicurazione sanitaria privata vi è invece scopo di lucro da parte della compagnia di assicurazione: i relativi rischi verranno ripartiti tra gli assicurati, tenendo conto dei premi che verranno pagati dagli assicurati stessi.

In una società di mutuo soccorso, i rischi individuali verranno invece trasferiti sulla rispettiva base collettiva costruita. Per tale ragione non vi sarà alcun profitto, aspetto che invece caratterizza i contratti di assicurazioni privati a premio.

In una società di mutuo soccorso, il rapporto associativo sarà espressione di volontà individuale di singole persone, volontà collettiva (non contrattualizzata) di gruppi di lavoratori e da ultimo di volontà mediata da una contrattazione. Per quest’ultima si intende il compito della società di mutuo soccorso di rappresentare una sorta di ponte di congiunzione tra la società civile e il mondo del lavoro.

Da ultimo è importante precisare che la normativa vigente in materia di sanità integrativa riconosce le società di mutuo soccorso come fonti istitutive e gestori di fondi sanitari integrativi del Ssn.

Legge 15 aprile 1886, n. 3818

(Gazz. Uff. 29 prile 1886, n. 100)

Costituzione legale delle società di mutuo soccorso

Per le integrazioni alla presente, vedi anche la Legge 22 ottobre 1986, n. 742 “ Nuove norme per l’esercizio delle assicurazioni private sulla vita” Legge abrogata dall’articolo 354 del D.lgs. 7 settembre 2005, n, 209 Codice delle Assicurazioni private.

Articolo 1

Le società di mutuo soccorso conseguono la personalità giuridica nei modi stabiliti dalla presente Legge. Esse non hanno finalità di lucro, ma perseguono finalità di interesse generale, sulla base del principio costituzionale di sussidiarietà, attraverso l’esclusivo svolgimento in favore dei soci e dei loro familiari conviventi di una o più delle seguenti attività:
a) erogazione di trattamenti e prestazioni socio-sanitari nei casi di infortunio, malattia ed invalidità al lavoro, nonché in presenza di inabilità temporanea o permanente;

b) erogazione di sussidi in caso di spese sanitarie sostenute dai soci per la diagnosi e la cura delle malattie e degli infortuni;

c) erogazione di servizi di assistenza familiare o di contributi economici ai familiari dei soci deceduti;

d) erogazione di contributi economici e di servizi di assistenza ai soci che si trovino in condizione di gravissimo disagio economico a seguito dell’improvvisa perdita di fonti reddituali personali e familiari e in assenza di provvidenze pubbliche.
Le attività previste dalle lettere a) e b) possono essere svolte anche attraverso l’istituzione o la gestione dei fondi sanitari integrativi di cui aldecreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.

Articolo 2
Le società possono inoltre promuovere attività di carattere educativo e culturale dirette a realizzare finalità di prevenzione sanitaria e di diffusione dei valori mutualistici.
Le società di mutuo soccorso non possono svolgere attività diverse da quelle previste dalla presente legge, né possono svolgere attività di impresa.

Salvi i casi previsti da disposizioni di leggi speciali, compreso quello relativo alla istituzione e gestione dei fondi sanitari integrativi, le attività di cui al primo comma dell’articolo 1 sono svolte dalle Società nei limiti delle proprie disponibilità finanziarie e patrimoniali.

Articolo 3

La costituzione della società e l’approvazione dello statuto debbono risultare da atto notarile, salvo il disposto degli artt. 11 e 12 di questa legge, sotto l’osservanza dell’art. 136 del codice di commercio.

Lo statuto deve determinare espressamente:

La sede della società;

I fini per i quali è costituita;

Le condizioni e le modalità di ammissione e di eliminazione dei soci;

i doveri che i soci contraggono, e i diritti che acquistano;

Le norme e le cautele per l’impiego e la conservazione del patrimonio sociale;

Le discipline alla cui osservanza è condizionata la validità delle assemblee generali, delle elezioni e delle deliberazioni;

L’obbligo di redigere processo verbale delle assemblee generali, delle adunanze degli uffici esecutivi e di quelle del comitato dei sindaci;

La formazione degli uffici esecutivi e di un comitato di sindaci colla indicazione delle loro attribuzioni;
La costituzione della rappresentanza della società, in giudizio e fuori;

Le particolari cautele con cui possono essere deliberati lo scioglimento, la proroga della società e le modificazioni dello statuto, sempreché le medesime non siano contrarie alle disposizioni contenute negli articoli precedenti.

Possono divenire soci ordinari delle società di mutuo soccorso le persone fisiche. Inoltre, possono divenire soci altre società di mutuo soccorso, a condizione che i membri persone fisiche di queste siano beneficiari delle prestazioni rese dalla Società, nonché i Fondi sanitari integrativi di cui all’ articolo 2 in rappresentanza dei lavoratori iscritti. È ammessa la categoria dei soci sostenitori, comunque denominati, i quali possono essere anche persone giuridiche. Essi possono designare sino ad un terzo del totale degli amministratori, da scegliersi tra i soci ordinari.

Articolo 4

La domanda per la registrazione della società sarà presentata alla cancelleria del tribunale civile insieme a copia autentica dell’atto costitutivo e degli statuti.

Il tribunale verificato l’adempimento delle condizioni volute dalla presente legge, ordina la trascrizione e l’affissione degli statuti nei modi e nelle forme stabilite dall’articolo 91 del codice di commercio.

Adempiute queste formalità, la società ha conseguita la personalità giuridica e costituisce un ente collettivo distinto dalle persone dei soci.

I cambiamenti dall’atto costitutivo o dello statuto, non avranno effetto fino a che non sieno compiute le stesse formalità prescritte per la prima costituzione.

Articolo 5

Gli amministratori di una società debbono essere iscritti fra i soci effettivi di essa.
Essi sono mandatari temporanei revocabili senza obbligo di dare cauzione, salvo che sia richiesta da speciale disposizione degli statuti;

Essi sono personalmente e solidalmente responsabili:

Dell’adempimento dei doveri inerenti al loro mandato;

Della verità dei fatti esposti nei resoconti sociali;

Della piena osservanza degli statuti sociali.

Tale responsabilità per gli atti di omissione degli amministratori, non ricadrà sopra quello di essi che avesse fatto notare senza ritardo il suo dissenso nel registro delle deliberazioni dandone notizia immediata per iscritto ai sindaci.

Non sarà responsabile nemmeno quell’amministratore che non abbia preso parte per assenza giustificata, alla deliberazione da cui la responsabilità scaturisce.
Oltre alla responsabilità civile, gli amministratori, direttori, sindaci o liquidatori della società di mutuo soccorso, che abbiano scientemente enunciato fatti falsi sulle condizioni della società o abbiano scientemente in tutto o in parte nascosti fatti riguardanti le condizioni medesime nei rendiconti, nelle situazioni patrimoniali od in relazioni rivolte all’assemblea generale od al tribunale saranno puniti colla pena di lire 20.000, salvo le maggiori stabilite dal codice penale.

Articolo 6

Quando siavi fondato sospetto di grave irregolarità nell’adempimento degli obblighi degli amministratori o dei sindaci delle società di mutuo soccorso, registrate in conformità di questa legge, i soci in numero non minore del ventesimo di quelli iscritti nella società, possono denunziare i fatti al tribunale civile.

Questo, ove trovi fondata l’accusa provvederà in conformità al disposto dell’art. 153 del codice di commercio, meno per la cauzione dei richiedenti.

Articolo 7

Qualora una società di mutuo soccorso contravvenisse all’art. 2 della presente legge, il tribunale civile sulla istanza del pubblico ministero o di alcuno dei soci, la inviterà a conformarvisi entro un termine non maggiore di quindici giorni.
Decorso inutilmente questo termine il tribunale civile, dietro citazione della rappresentanza della società, ordinerà la radiazione della stessa dal registro delle società legalmente costituite.

Articolo 8

I lasciti o le donazioni che una società avesse conseguito o conseguisse per un fine determinato ed avente carattere di perpetuità, saranno tenuti distinti dal patrimonio sociale, e le rendite derivanti da essi dovranno essere erogate in conformità della destinazione fissata dal testatore o dal donatore.

Se la società fosse liquidata, come pure se essa perdesse semplicemente la personalità giuridica, si applicheranno a questi lasciti e a queste donazioni le norme vigenti sulle opere pie.
In caso di liquidazione o di perdita della natura di società di mutuo soccorso, il patrimonio è devoluto ad altre società di mutuo soccorso ovvero ad uno dei Fondi mutualistici o al corrispondente capitolo del bilancio dello Stato ai sensi degli articoli 11 e 20 della legge 31 gennaio 1992, n. 59.

Articolo 9

Le società di mutuo soccorso registrate in conformità alla presente legge, godono:
1. L’esenzione dalle tasse di bollo e registro conferita alle società cooperative dall’art. 228 del codice di commercio;

2. La esenzione dalla tassa sulle assicurazioni, e dall’imposta di ricchezza mobile come all’art. 8 del testo unico delle leggi d’imposta sui redditi della ricchezza mobile 24 agosto 1877, n. 4021;

3. La parificazione alle opere pie pel gratuito patrocinio, per la esenzione dalle tasse di bollo e registro e per la misura dell’imposta di successione o di trasmissione per atti tra vivi;
4. La esenzione di sequestro e pignoramento dei sussidi dovuti dalle società ai soci.

Articolo 10

Le società registrate dovranno trasmettere al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato per mezzo del sindaco del comune in cui risiedono, una copia dei propri statuti e del resoconto di ciascun anno. Dovranno pure trasmettere allo stesso ministero le notizie statistiche, che fossero ad esse domandate.

Articolo 11

Le società di mutuo soccorso già esistenti al momento della promulgazione della presente e già erette in corpo morale, per ottenere la registrazione e i vantaggi da essa conseguenti, dovranno farne domanda, riformando, se occorre, il proprio statuto in conformità dell’articolo 3 di questa legge.

Articolo 12

Le società già esistenti al momento della promulgazione della presente legge, e non riconosciute come corpi morali, il cui statuto sia conforme alle disposizioni dei precedenti articoli 1, 2 e 3, presenteranno unitamente alla domanda di registrazione, una copia autentica di esso, restando dispensate da ogni formalità di costituzione sociale.
Le società pure esistenti al momento della promulgazione di questa legge, il cui statuto non sia conforme ai suddetti articoli, saranno anche esse dispensate dalle formalità di costituzione, ma dovranno riformare lo statuto stesso in assemblea generale espressamente convocata. Unitamente alla domanda di registrazione, esse presenteranno una copia autentica dello statuto così riformato, ed una copia del processo verbale dell’assemblea, nella quale furono approvate le riforme.

Le attività e passività di tali società dovranno essere nel termine di mesi sei trasferite nel nome del nuovo ente collettivo e per gli atti a tale scopo necessari, verrà applicata l’esenzione di cui all’articolo 9.

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Fondi sanitari e integrativi: l’evoluzione della normativa

di Fabio Florianello

Analisi, studi, report e convegni. I Fondi Sanitari Integrativi sono al centro di grande interesse e non solo economico. Ma anche di grande confusione. Ecco il punto sulla normativa che li riguarda

08 SET – Fin dalla legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, il Legislatore si è reso conto delle eterogenee realtà di assistenza privata e volontaria riconoscendo al cittadino la possibilità di fare ricorso ad una “integrazione” delle prestazioni erogate dal sistema pubblico non solo attraverso il ricorso diretto al mercato sanitario, ma anche mediante la partecipazione alla mutualità volontaria (Legge 833/1978, art. 46: “La mutualità volontaria è libera…”).

Tuttavia, per avere una vera e propria norma occorre attendere il D.Lgs. 502/1992 che all’articolo 9 istituisce per la prima volta i cosiddetti fondi sanitari integrativi quali “forme differenziate di assistenza”.

Il fine perseguito era di porre le basi per un “secondo livello di assistenza sanitaria” in grado di rappresentare una significativa “integrazione” alle forme assistenziali erogate dal S.S.N.

Con il D.Lgs. 517/1993, all’art. 10, vengono in seguito descritte le prestazioni che potevano essere erogate da un fondo sanitario integrativo. Tali prestazioni, definite come “aggiuntive” rispetto a quelle fornite dal SSN, avrebbero dovuto avere ulteriore specificazione in un decreto ministeriale la cui promulgazione era prevista entro 120 giorni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 517 del 1993. La mancata emanazione di tale decreto ha impedito che la normativa trovasse una chiara applicazione.


Il Legislatore è quindi tornato sulla materia dei fondi sanitari con la riforma ter o riforma Bindi (D.Lgs n. 229/99) in attuazione della legge delega n. 419 del 1998). Tale provvedimento modifica l’articolo 9 del D.Lgs. 502/1992 introducendo la “tipologia” dei fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale, i cosiddetti fondi “doc”, il cui fine è quello di preservare le caratteristiche di solidarietà e universalismo della sanità pubblica e allo stesso tempo incoraggiare la copertura di servizi integrativi con prestazioni eccedenti i LEA attraverso l’assistenza privata.

I fondi integrativi “doc” vengono pensati come complementari alla sanità pubblica, permettendo di garantire una copertura su base collettiva per tutte le prestazioni non garantite dal SSN o che sono anche solo parzialmente a carico delle famiglie. Tali fondi sono caratterizzati da tre elementi: (i) non selezione dei rischi sanitari; (ii) non discriminazione nei premi da pagare; (iii) non concorrenza con il Servizio Sanitario Nazionale (o meglio “concorrenza limitata” in quanto possono offrire prestazioni sostitutive purché svolte esclusivamente nell’ambito della libera professione intramuraria).

Contestualmente vengono definiti “non doc” i fondi che non hanno l’obbligo di rispettare i vincoli appena elencati e che quindi possono offrire anche prestazioni sostitutive rispetto a quelle del servizio pubblico ricadenti nei Livelli Essenziali di Assistenza.

Il comma 2, art. 9, D.Lgs. 229/1999 prevede che un fondo di “nuova istituzione” possa essere definito “doc” soltanto qualora indichi espressamente nella propria denominazione la definizione “integrativo del Servizio Sanitario Nazionale”. È fatto quindi divieto di utilizzare tale espressione con riferimento a fondi istituiti per finalità diverse da quelle proprie dei fondi tipizzati dal decreto 229/1999.

 Il D.M. Turco del 31 marzo 2008, dopo quasi dieci anni, rappresenta il primo provvedimento normativo che riconosce espressamente l’esistenza dei fondi diversi da quelli tipizzati dal D.Lgs. 229 consentendo il superamento della definizione “fondi non doc”, indicandoli come “enti, casse, società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale” e, al contempo, individuando sia il loro ambito di intervento, sia quello dei Fondi Sanitari Integrativi del SSN.

In particolare, l’articolo 1 del suddetto decreto estende gli ambiti di intervento dei fondi ex articolo 9 d.lgs. n. 502 del 1992 (integrativi) nei limiti in cui non siano ricompresi nei LEA:
(i) prestazioni sociosanitarie; (ii) spese sostenute dall’assistito per le prestazioni sociali erogate nell’ambito dei programmi assistenziali intensivi e prolungati finalizzati a garantire la permanenza a domicilio ovvero in strutture residenziali o semiresidenziali delle persone anziane e disabili; (iii) prestazioni finalizzate al recupero della salute di soggetti temporaneamente inabilitati da malattia o infortunio per la parte non garantita dalla normativa vigente; (iv) prestazioni di assistenza odontoiatrica non comprese nei livelli essenziali di assistenza per la prevenzione, cura e riabilitazione di patologie odontoiatriche.


Ulteriore novità riguarda l’istituzione dell’Anagrafe dei fondi sanitari presso il Ministero della Salute in cui sono censiti tutti i fondi sanitari integrativi del S.S.N. nonché gli enti, casse, società di mutuo soccorso aventi fine esclusivamente assistenziale
 

L’ultimo intervento normativo in materia di assistenza sanitaria integrativa è il D.M. del 27 ottobre 2009 (Decreto Sacconi) che modifica e integra il Decreto Turco al fine di rilanciare i fondi integrativi distinguendoli da Enti, Casse e Società di mutuo soccorso, specificandone ulteriormente ambiti di applicazione, procedure e modalità di funzionamento: i) Fondi Sanitari Integrativi del Servizio sanitario nazionale, istituiti o adeguati ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 20 dicembre 1992, n. 502 e s.m.i.; ii) Enti, Casse e Società di Mutuo Soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale, di cui all’art. 51, comma 2, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.

 Attualmente il sistema dei Fondi sanitari è caratterizzato dalla distinzione tra “fondi ex art. 9 (Integrativi)” e “enti, casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente finalità assistenziale”
 
Il Ministero della Salute ha ribadito questa distinzione dal punto di vista civilistico e fiscale e ne ha tracciato una netta linea di demarcazione. La differenza tra i “fondi sanitari integrativi” e gli “enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale” consiste proprio nel fatto che i primi, come detto, sono finalizzati all’erogazione di prestazioni non comprese nei livelli essenziali di assistenza (prestazioni integrative), mentre i secondi possono finanziare anche prestazioni sostitutive rispetto a quelle già erogate dal Servizio sanitario nazionale”.
 
In quest’ottica per chi aderisce a un fondo sanitario integrativo in forma individuale e volontaria (è il caso di pensionati, lavoratori autonomi, liberi professionisti o inoccupati) il contributo di adesione versato dall’iscritto concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente e quindi solo le spese mediche sono detraibili dalle imposte nella misura del 19% per la parte eccedente 129,11 euro.

Diverso il caso, invece, dei lavoratori dipendenti che aderiscono a un fondo previsto da un contratto, accordo o regolamento aziendale. In questo scenario i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale non concorrono a formare il reddito di lavoro e vanno in deduzione per un importo massimo di 3.615,20 euro.

Tuttavia, alla luce della Normativa attuale e di una chiara regolamentazione, la discussione sui Fondi Sanitari rimane aperta: equivoci tra un regime di prestazioni integrative o sostitutive, frammentazione ed eterogeneità dell’offerta, scarsa attenzione all’appropriatezza, diffusa trascuratezza nei riguardi della cronicità e dell’autosufficienza, agevolazioni fiscali da rivedere costituiscono delle criticità irrisolte. Soprattutto in un clima di sottofinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale che finisce per danneggiare entrambi.

 
 
Fabio Florianello

Componente Esecutivo Nazionale ANAAO ASSOMED


08 settembre 2018

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Contributi associativi versati dai soci alle società di mutuo soccorso ed altre erogazioni liberali: cosa cambia dal 2018

Gianluigi Degan

La legge di riforma del Terzo Settore di cui al D.Lgs. 03.07.2017 n. 117, con l’introduzione dell’art. 83 del Tuir, ha revisionato l’articolato sistema di detrazioni e deduzioni in vigore, razionalizzando le misure agevolative ed ampliandone l’ambito soggettivo. In particolare, al comma 5, ha introdotto anche una nuova detrazione per i contributi associativi versati dai soci alle società di mutuo soccorso.

La riforma ha inteso favorire l’afflusso di beni e risorse finanziarie derivanti da atti di liberalità agli Enti meritevoli del Terzo Settore.

L’efficacia delle norme sarebbe subordinata all’autorizzazione della Commissione Europea ed all’operatività del nuovo Registro, ma il legislatore ha scelto di anticiparne l’entrata in vigore al 01.01.2018 per fornire nuovi e maggiori incentivi agli Enti rispetto alla disciplina previgente.

Vediamo in sintesi le principali novità.

Erogazioni liberali

Profilo soggettivo

La riforma intende superare la distinzione tra Enti commerciali e non commerciali valorizzando lo svolgimento di attività di interesse generale ed il reinvestimento degli utili o avanzi di gestione.

Beneficiari ed ammontare

Persone fisiche:
• detrazione del 30% per erogazioni liberali sia in denaro che in natura (beni) a favore degli Enti del Terzo Settore nel limite di € 30.000 per ciascun anno; l’erogazione in denaro deve avvenire attraverso mezzi tracciabili di pagamento e quella in natura attende l’individuazione dei beni agevolabili da parte di un decreto del Ministero del Lavoro; se l’Ente beneficiario è un’Organizzazione di Volontariato (ODV) la detrazione è incrementata al 35% solo per le erogazioni in denaro rimanendo del 30% per quelle in natura.

Persone fisiche (in alternativa alla detrazione precedente) Enti o società:
• deduzione nel limite del 10% del reddito complessivo con la possibilità, se la deduzione supera il reddito complessivo netto (una volta utilizzate tutte le altre deduzioni), di riportare l’eccedenza in deduzione dal reddito nei quattro anni successi sino a concorrenza del suo ammontare.

Contributi associativi versati dai soci alle società di mutuo soccorso

La riforma introduce una nuova detrazione che va a sostituire quella prevista dall’art. 15, comma 1, lett. i-bis) del Tuir ora abrogata.

Beneficiari ed ammontare

Per i versamenti effettuati dai Soci persone fisiche, Enti o società (prima solo persone fisiche):
• detrazione sempre del 19% per un importo non superiore ad € 1.300 versati ad Enti di mutuo soccorso che operano nei seguenti settori:
a) erogano trattamenti e prestazioni socio-sanitari nei casi di infortunio, malattia ed invalidità al lavoro, nonché in presenza di inabilità temporanea o permanente;
b) erogano sussidi in caso di spese sanitarie sostenute dai soci per la diagnosi e la cura delle malattie e degli infortuni;
c) erogano servizi di assistenza familiare o contributi economici ai familiari dei soci deceduti;
d) erogano contributi economici e servizi di assistenza ai soci che si trovino in condizione di gravissimo disagio economico a seguito dell’improvvisa perdita di fonti reddituali personali e familiari e in assenza di provvidenze pubbliche.

Va infine evidenziato, per quanto previsto dall’art. 83, comma 6, che per fruire dei vantaggi fiscali è necessario che l’Ente beneficiario utilizzi le liberalità ricevute per lo svolgimento dell’attività statutaria ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche solidaristiche e di utilità sociale.

Gianluigi Degan – Centro Studi CGN

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Excursus Legale sulla Questione Agricola

Piccola Proprieta’ Contadina:

L’Agenzia delle entrate ha precisato che per fruire dell’agevolazione non è più necessario che ricorrano le condizioni precedentemente previste dalla legge 6 agosto 1954, n. 604, ovvero circostanza che l’acquirente dedichi abitualmente la propria attività alla lavorazione della terra, l’idoneità del fondo alla formazione o all’arrotondamento della piccola proprietà contadina e la mancata alienazione nel biennio precedente di fondi rustici di oltre un ettaro. Pertanto, non è più necessario richiedere all’ispettorato provinciale agrario il certificato (prima provvisorio e poi definitivo) che attesta la sussistenza dei requisiti al fine dell’applicazione del regime agevolato (Risoluzione 17 maggio 2010, n. 36/E). Il certificato, che già era stato escluso per gli imprenditori agricoli professionali, non è più necessario neppure per i coltivatori diretti. In entrambi i casi, la presenza dei requisiti previsti dalla nuova normativa viene dichiarata dal coltivatore diretto o dall’imprenditore agricolo professionale direttamente nell’atto di acquisto.

L’Agenzia delle entrate ha espressamente riconosciuto che l’agevolazione Ppc può essere richiesta anche quando il socio conferisce in una società agricola i propri terreni agricoli (e fabbricati accessori), nonostante la lettera della legge faccia riferimento soltanto all’acquisto mediante atto di compravendita (Risoluzione 4 gennaio 2008 n. 3).

Recentemente l’agevolazione per la piccola proprietà contadina è stata estesa, per la prima volta, a favore di soggetti che non hanno la qualifica di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, e non sono iscritti nella relativa gestione assistenziale e previdenziale.


Con la consulenza giuridica n. 2 del 25 gennaio 2022 l’Agenzia delle entrate ha chiarito che lo svolgimento di attività agricoleconnesse” da parte di una cooperativa agricola di conferimento (o da un consorzio di cooperative agricole), che commercializza i prodotti conferiti dai soci, non dà luogo ad operazioni imponibili ulteriori rispetto alle cessioni di beni dai soci al sodalizio e da questo ai terzi.

L’istanza di parte

La tematica oggetto di consulenza riguarda il trattamento IVA delle attività agricole connesse alla vendita, svolta da cooperative agricole di conferimento (o da un consorzio di cooperative agricole) che, a seguito del conferimento del prodotto agricolo da parte dei soci (o delle cooperative consorziate), si impegnano a commercializzarlo o valorizzarlo.

Nel caso prospettato, a seconda di quelle che sono le effettive modalità di esercizio delle attività statutarie di commercializzazione dei prodotti agricoli, i soci cooperatori (o le cooperative associate), hanno facoltà di scegliere se la cessione del prodotto, nel caso specifico cereali (frumento, mais, soia, orzo) avvenga a date predeterminate oppure secondo scelte operate esclusivamente dalla cooperativa (o dal consorzio).

Le differenti modalità di vendita, la cui scelta risponde all’esigenza di tutelare in via esclusiva l’interesse del socio conferente nel rispetto dello scambio mutualistico che caratterizza i sodalizi cooperativi, ha un diverso impatto in termini di attività e di costi di conservazione del prodotto medesimo.

Nel primo caso, infatti, conosce a priori quale potrà essere l’impatto dei costi di conservazione del prodotto mentre se la scelta di vendita dipende esclusivamente dalla cooperativa (o dal consorzio) i costi varieranno a seconda del momento di effettuazione della vendita, che potrà avvenire ad esempio immediatamente dopo la consegna o dopo un periodo di ventilazione” che occorre per mantenere il prodotto “adatto alla cessione”.

A tal riguardo l’istante chiede all’Agenzia delle entrate di sapere se le attività amministrative svolte dalla cooperativa sui beni conferiti dai propri soci (trasformazione, manipolazione, valorizzazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci) configurino o meno prestazioni di servizi rilevanti ai fini IVA.

L’istante ritiene in particolare che le attività tra cooperativa e soci conferenti (o tra consorzio e cooperative) rilevanti ai fini IVA siano soltanto le operazioni di cessione di beni e non di prestazione di servizi.

La posizione dell’Agenzia delle entrate

L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto sostanzialmente corretta l’interpretazione proposta dalla cooperativa istante, richiamando sul punto la risoluzione n. 65/E del 12 giugno 2012 in materia di trattamento ai fini IVA delle attività agricole “connesse”, svolte da una società cooperativa agricola che commercializza i prodotti agricoli conferiti dai propri soci.

In primo luogo, in ragione dell’art 2135, co. 3 del cod. civ. si intendono connesse “le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.”

Ciò premesso, la risalente prassi dell’Agenzia delle entrate aveva già chiarito che nelle cooperative agricole, che ai fini civilistici e IVA si qualificano come “produttori agricoli”, è ravvisabile un rapporto di continuità tra socio cooperatore e sodalizio nello svolgimento delle attività agricole, ivi comprese quelle connesse di cui all’art. 2135 cit.

Nell’ambito delle attività di commercializzazione dei prodotti conferiti, quindi, le attività connesse non costituiscono autonome prestazioni di servizi rese dalla cooperativa ai soci, ma “rappresentano una fase dell’attività di commercializzazione svolta dalla cooperativa per conto dei soci” dirette a realizzare una migliore produttività del prodotto.

Con la consulenza giuridica dello scorso 25 gennaio l’Agenzia delle entrate ha deciso di dare continuità a tale orientamento perché il contesto normativo in argomento non è mutato nella sostanza.

In conclusione, quindi, fino a quando le attività svolte dalla cooperativa agricola siano da ritenersi connesse ai sensi dell’art. 2135 cc, le stesse non danno luogo ad operazioni imponibili ulteriori rispetto alla cessione dei beni (dai soci all’ente e dall’ente ai terzi), che resta l’attività principale esercitate dalla cooperativa agricola a favore dei soci (o dal consorzio a favore delle cooperative associate).

Aspetti fiscali della impresa agricola: le attività agricole per connessione

di Isabella Buscema

Quali sono le cosiddette le attività connesse all’impresa agricola (manipolazione, commercializzazione e trasformazione) aventi ad oggetto prodotti agricoli acquisiti prevalentemente da terzi? Analizziamo come vanno tassati i redditi agricoli in base alle regole del Testo Unico

Fiscalità delle attività agricole connesse – Premessa

L’attività di controllo del Fisco è indirizzata nei confronti di imprese che svolgono le cosiddette attività connesse (manipolazione, commercializzazione e trasformazione) aventi ad oggetto prodotti agricoli acquisiti prevalentemente da terzi.

Le attività essenzialmente agricole

Occorre differenziare l’attività essenzialmente agricola (la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l’allevamento di animali) dall’attività agricola per connessione.

L’art. 2135 c.c. statuisce che

“è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”.

Le attività agricole per connessione

Chi esercita un’attività essenzialmente agricola rimane imprenditore agricolo anche se svolge, oltre a tale attività, una delle attività che si chiamano agricole per connessione.

Le attività connesse, sono attività che nascono come commerciali e che per una fictio iuris, nel momento in cui sono esercitate da un imprenditore agricolo e rispettano determinati parametri predefiniti si considerano connesse con tutte le conseguenze che ne derivano.

Le attività connesse sono di natura commerciali ma, per effetto di una finzione giuridica, vengono equiparate a quelle agricole. Un’attività si considera connessa solamente quando viene esercitata utilizzando prevalentemente1 prodotti provenienti da un’attività agricola per natura (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali).

Si reputano connesse quelle attività che in sé agricole non sono (tanto che, se esercitate autonomamente, fanno acquistare la qualità di imprenditore commerciale), ma che, se svolte da chi esercita un’attività agricola essenziale, sono giuridicamente assorbite da questa (e perciò non fanno acquisire la qualità di imprenditore commerciale).

Nella circolare 14 maggio 2002 n. 44 l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che l’utilizzo di prodotti acquistati presso terzi è ammesso al fine di migliorare la qualità del prodotto finale e di aumentare la redditività complessiva dell’impresa agricola; è il caso, ad esempio, dell’imprenditore vitivinicolo che acquista vino da taglio presso terzi per migliorare la qualità del proprio prodotto.

Tassazione catastale

Le attività agricole connesse possono essere considerate produttive di reddito agrario, e quindi assoggettate alla tassazione catastale, a condizione che siano contemplate nell’elenco contenuto in un apposito Decreto da aggiornare con cadenza biennale2.

E’ considerato agricolo il reddito che l’imprenditore realizza a seguito ad esempio della commercializzazione del vino derivante da un processo di lavorazione di uve ottenute in misura prevalente dalla coltivazione del fondo da lui stesso effettuata. Infatti, in tal caso trova applicazione la norma che prevede che le attività connesse e cioè quelle dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti rientrano nel reddito agrario, anche se non svolte sul terreno, purché:

  • i beni e le attività rientrino in quelle previste da un apposito decreto emanato con cadenza annuale;
  • i beni siano ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo.

Da ultimo occorre fare riferimento al Decreto 13.2.2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 62 del 16.3.20153.

Prevalenza

Sono attività oggettivamente connesse quelle dirette:

  • alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale;
  • alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata.

In entrambe le ipotesi si fa uso del concetto di prevalenza per delimitare il perimetro della connessione.

Nel primo caso deve trattarsi di prevalenza dell’attività agricola essenziale su quella connessa; nel secondo deve trattarsi di prevalenza, nell’esercizio dell’attività connessa, delle attrezzature e delle risorse che normalmente sono impiegate nell’attività agricola essenziale.

Ad esempio, in presenza di un’attività di servizi svolta utilizzando un trattore normalmente impiegato nell’attività agricola principale e una mototrebbiatrice normalmente non utilizzata per l’attività principale, il requisito della prevalenza andrà verificato sulla base del raffronto tra il fatturato ottenuto con l’utilizzo del trattore nell’attività di servizi per conto terzi (ad esempio, 40mila euro) e il fatturato ottenuto con la mototrebbiatrice (ad esempio, 35mila euro).

Nell’effettuare tale confronto, non possono essere annoverate fra le attrezzature “normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata” della propria azienda beni le cui potenzialità siano sproporzionate rispetto all’estensione dei terreni dell’imprenditore agricolo o che non siano necessari nello svolgimento delle sue colture4.

Le attrezzature impiegate per le prestazioni di servizi devono essere le stesse utilizzate normalmente nell’azienda agricola (p.e. un agricoltore senza animali non può svolgere il servizio di smaltimento liquami per conto di terzi)5; le attrezzature utilizzate nelle attività di servizi devono essere impiegate prevalentemente nell’attività agricola.

Il limite, va ricercato nei criteri di:prevalenza6 dei servizi operati sul proprio fondo o sui propri prodotti rispetto a quelli resi a terzi7;attinenza dell’attività svolta, con l’attività agricola principale.

Diversa tassazione

E’ possibile affermare che:

  • l’attività di trasformazione e manipolazione di prodotti propri indicati nel decreto ministeriale è considerata attività agricola e la tassazione rientra nel reddito agrario;
  • la trasformazione e manipolazione di prodotti agricoli acquistati da terzi, purché compresi tra quelli indicati nel citato decreto, è considerata come attività agricola e quindi si applica la tassazione in base al reddito agrario, purché vi sia integrazione con i prodotti propri e sia rispettato il criterio di prevalenza;
  • l’attività di mera commercializzazione, conservazione e valorizzazione di prodotti acquistati presso terzi determina, invece, reddito d’impresa.

In mancanza della condizione della prevalenza, occorrerà distinguere il caso in cui l’attività connessa abbia ad oggetto beni che rientrano fra quelli elencati nel decreto ministeriale dal caso in cui riguardi beni diversi da questi ultimi.

Infatti, nella prima ipotesi opera la c.d. franchigia e, quindi, sono da qualificarsi come redditi agrari ai sensi dell’art. 32 i redditi rivenienti dall’attività di trasformazione dei prodotti agricoli nei limiti del doppio delle quantità prodotte in proprio dall’imprenditore agricolo (o, nel caso di acquisti per un miglioramento della gamma, nei limiti del doppio del valore normale delle medesime); i redditi ottenuti dalla trasformazione delle quantità eccedenti devono, invece, essere determinati in base alle regole in materia di reddito d’impresa ai sensi dell’art. 56 del Tuir.

Nel caso in cui l’attività di trasformazione o manipolazione riguardi beni che non rientrano fra quelli elencati nel citato decreto ministeriale, non essendo soddisfatto il requisito della prevalenza, esplicitamente richiesto dal menzionato art. 56 bis del Tuir, l’intero reddito prodotto costituisce reddito d’impresa da determinarsi analiticamente in base all’art. 56 del Tuir.

Attività rientranti tra quelle di cui al decreto 13.02.2015:
  1. rispetto della prevalenza – assoggettamento a reddito agrario dell’attività connessa;
  2. mancato rispetto della prevalenza – nel limite del doppio delle quantità prodotte in proprio dall’imprenditore agricolo o del valore normale delle stesse si ha reddito agrario, mentre, per l’eccedenza, il reddito sarà di impresa e quindi determinato analiticamente ex art. 56 del Tuir.
Attività non ricompresa nell’elenco di cui al decreto ministeriale:
  1. rispetto della prevalenza – tassazione forfettizzata ex articolo 56-bis, comma 2 Tuir (COEFFICIENTE DI REDDITIVITA’ DEL 15%);
  2. mancato rispetto della prevalenza – l’intero reddito è reddito di impresa.
Esempi

Nel caso dell’imprenditore agricolo che produce vini utilizzando anche uva acquistata presso terzi, ad esempio, è necessario, affinché possa mantenere lo status di imprenditore agricolo, che l’uva di produzione propria impiegata nel processo produttivo sia quantitativamente superiore a quella acquistata all’esterno.

In tal caso, quindi, l’intera attività di produzione e vendita del vino (effettuata anche attraverso la trasformazione di uva acquistata da terzi) viene qualificata come attività agricola e la tassazione viene regolata secondo le disposizioni che disciplinano il reddito agrario.

Nel caso di un imprenditore agricolo che trasforma uva nera di propria produzione e commercializza il vino rosso che ne deriva dopo un processo di imbottigliamento e che, contestualmente, acquista vino bianco da terzi già imbottigliato, il quadro fiscale è il seguente:

  • limitatamente all’attività di produzione di vino rosso, il produttore è qualificato quale imprenditore agricolo e i redditi che ne derivano sono considerati redditi agrari;
  • l’attività di vendita di vino bianco acquistato presso terzi (poiché non comporta alcuna attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione) è considerata attività commerciale, tassata secondo le disposizioni che regolano il reddito d’impresa.

In conclusione, le sole attività di conservazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti (uva o vino) acquistati presso terzi (poiché tali attività non vengono esercitate congiuntamente ad un processo di trasformazione o manipolazione) non possono essere assoggettate al regime di determinazione del reddito agrario previsto dall’art. 32 del Tuir, ma vengono attratte nel regime di determinazione del reddito d’impresa.

Nel caso in cui un soggetto si occupi dell’acquisto di uve presso un imprenditore agricolo per la successiva rivendita al pubblico l’attività che ne risulta si qualifica come attività commerciale e, in quanto tale, assoggettata alle regole di determinazione del reddito d’impresa.

Della stessa natura è il reddito che si origina dalla vendita di vino ottenuto dalla trasformazione di uve acquistate interamente presso terzi; in tale ipotesi, infatti, il soggetto che produce vino non svolge alcuna attività di natura agricola, né diretta (coltivazione del fondo), né connessa (produzione di vino con uva ottenuta prevalentemente dalla coltivazione del fondo svolta in prima persona), per cui mancano i presupposti affinché tornino applicabili le regole di determinazione del reddito agrario di cui all’art. 32 del Tuir.

Ne deriva che l’attività in questione viene tassata secondo le disposizioni che regolano il reddito d’impresa. Di tipo commerciale è, inoltre, l’attività di vendita al pubblico di vino in bottiglia o alla mescita, quale l’attività esercitata dai commercianti al dettaglio o dalle enoteche.

Anche in tale fattispecie, il reddito che ne deriva si qualifica come reddito d’impresa e segue, ai fini della tassazione diretta, le specifiche regole contenute nel Tuir.

Le attività con reddito d’impresa a determinazione forfetaria

Si applica l’art. 56-bis, c. 2, del D.P.R. 22/12/1986, n. 917, e non la tariffa di reddito agrario se le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli hanno per oggetto prodotti che sono ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento del bestiame ma che sono diversi da quelli elencati nel D.M. 13/2/2015.

In questo caso il reddito è determinato applicando il coefficiente di redditività del 15% sull’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate (o soggette a registrazione) ai fini dell’IVA8.

L’ articolo 56-bis del Tuir, prevede una tassazione agevolata mediante l’applicazione di un coefficiente di redditività da applicare all’ammontare dei corrispettivi conseguiti.

Si tratta, in particolare:

  • delle attività connesse relative a prodotti non inclusi tra quelli indicati nel decreto ministeriale D.M. 13/2/2015, cui si applica il coefficiente di redditività del 15%;
  • delle attività dirette alla fornitura a terzi di servizi effettuate mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola principale, cui si applica il coefficiente di redditività del 25%.
I prodotti di terzi: reddito agrario o reddito d’impresa 

Le attività di trasformazione e commercializzazione svolte dall’imprenditore agricolo, possono avere per oggetto anche prodotti acquistati da terzi, alla condizione che:siano prevalenti9 i prodotti propri,;appartengano al medesimo comparto produttivo di quelli realizzati in proprio (es. zootecnico, carne o latte; orticolo; frutticolo…)10.

Per i prodotti agricoli acquistati da terzi e commercializzati , manca la connessione con l’attività agricola principale esercitata per cui il reddito si determina mediante la differenza tra i ricavi ed i costi cioè secondo quanto è disposto dall’art. 56 del Tuir.

La semplice commercializzazione di prodotti altrui è del tutto priva di ogni legame di strumentalità e complementarietà con l’attività di coltivazione del fondo o di allevamento ; pertanto essa non ha natura agricola(11).

Al contrario la trasformazione del proprio prodotto con l’aggiunta anche di prodotti di terzi necessari per miglioralo , assume una funzione strumentale all’attività di produzione .

Ha natura agricola la trasformazione del vino anche con l’aggiunta di altro vino acquistato in misura non prevalente presso terzi.

Analogamente la produzione di conserve o di marmellate giustifica l’acquisto all’esterno di prodotti. Invece per un florovivaista la rivendita di piante e fiori acquistati presso terzi, senza che si sia verificato un incremento qualitativo ha sempre natura commerciale poiché e’ inverosimile che i prodotti propri non fossero vendibili senza la commercializzazione di altri prodotti.

L’attività di manipolazione può conferire tuttavia al prodotto natura agricola; quindi se il produttore acquista piante e poi procede allo svasamento , alla potatura ovvero se attribuisce alla pianta una forma diversa l’attività ha natura agricola.

Nella circ. n. 44/E del 15 novembre 2004, l’Agenzia delle entrate cita l’esempio del produttore di radicchio che acquista radicchio da terzi e, dopo la pulitura ed il confezionamento, lo rivende insieme a quello proprio.

Utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa

Nell’attività dell’impresa agricola rientrano, oltre alla coltivazione del fondo, anche le lavorazioni connesse(12), complementari ed accessorie dirette alla trasformazione ed alienazione dei prodotti agricoli, purché, però, sia riscontrabile uno stretto collegamento fra l’attività agricola principale e quella di trasformazione dei prodotti, come finalizzata all’integrazione od al completamento dell’utilità economica derivante dalla prima secondo il naturale svolgimento del ciclo produttivo.

Si deve, invece escludere questo vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale quando l’attività dell’imprenditore, oltre a perseguire finalità inerenti alla produzione agricola, risponda soprattutto ad altri scopi, commerciali o industriali, e realizzi quindi utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa (Cass., sez. un., 13 gennaio 1997, n. 265; Cassazione 21 gennaio 2013, n. 1344).

Ai fini tributari, l’attività di commercializzazione dei prodotti svolta da un’impresa, per essere considerata agraria per connessione, deve riguardare, almeno prevalentemente, i prodotti propri dell’impresa agricola e non assumere dimensioni tecnico-organizzative tali da assurgere ad attività del tutto autonoma; in nessun caso, inoltre, l’attività di commercializzazione di prodotti acquistati da terzi può considerarsi agraria per connessione, se su detti prodotti l’imprenditore, prima di operarne la rivendita, non esegua alcun intervento (ad esempio, di manipolazione o di trasformazione) idoneo ad inserire in qualche modo i prodotti stessi nel proprio ciclo intermediario per la collocazione sul mercato di prodotti di altri imprenditori, realizzando utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa (Cass. 10 aprile 2015, n. 7238).

Onere probatorio

Spetta al fisco l’onere prima di allegare e provare nel giudizio di merito che l’attività di commercializzazione di prodotti di terzi è prevalente e/o che l’attività di lavorazione e commercializzazione dei prodotti dei soci travalichi i limiti previsti, realizzando utilità indipendenti o prevalenti rispetto all’attività agricola.

29 settembre 2017

Isabella Buscema

NOTE

12 Macellazione di animali allevati prevalentemente sul proprio fondo; trasformazione di frutta e di pomodori in conserve; trasformazione delle mele in sidro; trasformazione dell’uva e frutta in marmellata; raffinamento dell’olio; macellazione e vendita di carni; raffinazione e confezione di cera e miele; brillatura del riso; pastorizzazione, imbottigliamento del latte; trasformazione in carbone del legname proveniente dal taglio dei propri boschi.

Società Agricole: i tre requisiti fondamentali

Anche l’attività agricola, che nella maggior parte dei casi ancora si svolge attraverso la forma della ditta individuale o dell’azienda familiare, si è evoluta e adeguata alle strutture societarie già presenti nel nostro ordinamento.

Vediamo di seguito quali sono le possibilità a disposizioni degli agricoltori, nel caso in cui quest’ultimi decidono di svolgere la loro attività in forma aggregata o con una più elevata tutela della responsabilità personale.

Le società agricole possono essere costituite nella forma di società di persone (società semplici, s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperative, e per essere qualificate come tali devono essere sempre presenti tre requisiti. Due requisiti sono di carattere formale, riguardano il contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto, mentre il terzo requisito, di natura sostanziale, riguarda le persone dei soci o degli amministratori.

IL PRIMO REQUISITO

La società agricola deve avere come oggetto esclusivo l’esercizio dell’agricoltura e delle attività connesse. Tali attività sono individuate dall’art. 2135 del codice civile e tra quest’ultime rientrano la coltivazione del fondo, la silvicoltura, l’allevamento di animali e tutte le attività connesse. Secondo il suddetto articolo, per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono tutte le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Per quanto riguarda invece le attività connesse, quest’ultime sono individuate in:

  • le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali;
  • la fornitura di beni o servizi utilizzando prevalentemente le attrezzature o risorse dell’azienda agricola;
  • l’agriturismo.

Al riguardo, l’articolo 36, comma 8, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, ha modificato l’art. 2 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, precisando che non costituiscono distrazione dall’esercizio esclusivo delle attività agricole le attività commerciali, industriali, ipotecarie e immobiliari a patto che siano finalizzate a migliorare l’attività agricola. Per questo motivo, secondo la circolare 50/E 2010 dell’Agenzia Entrate la società che effettui attività di locazione, comodato e affitto di immobili per uso abitativo, oppure terreni e fabbricati a uso strumentale delle attività agricole, resta agricola se queste attività sono marginali, con entrata non superiori al 10% del ricavo complessivo.

IL SECONDO REQUISITO

Il legislatore ha previsto la possibilità, per tutte le società, di qualificarsi come società agricola. Risulta obbligatorio che questo sia messo in evidenza con l’obbligatoria indicazione nella ragione o denominazione sociale del termine “società agricola.

IL TERZO REQUISITO

L’ultimo requisito, di carattere sostanziale, si differenzia in base al modello societario prescelto.

A secondo che la scelta ricada tra il modello della società di persone o quello della società di capitali, vanno rispettati differenti disposti normativi. Vediamo le differenze.

Nelle società di persone almeno uno dei soci deve essere in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP) o coltivatore diretto (CD). I rimanenti soci non devono essere necessariamente agricoltori, indipendentemente dal loro numero. Nel caso in cui si tratti di società in accomandita semplice (s.a.s.) va specificato che almeno un socio accomandatario deve essere qualificabile come imprenditore agricolo professionale.
Nelle società di capitali deve possedere il requisito dell’imprenditore agricolo professionale o del coltivatore diretto almeno un amministratore. Vista la possibilità che, nelle società di capitali, gli amministratori possano anche non essere soci, potremmo avere una società agricola in cui nessuno dei soci è un agricoltore. Anche nel caso in cui la società sia unipersonale, la presenza di almeno un amministratore con i suddetti requisiti, permette alla società di maturare la qualifica di società agricola e l’accesso alle agevolazioni connesse.

Passando alle società cooperative, in questa tipologia di società è richiesto che almeno un amministratore, che sia anche socio, abbia la qualifica di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto.

Va specificato che, secondo l’art. 1 comma 3-bis, del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99 la qualifica di imprenditore agricolo professionale può essere apportata dall’amministratore a una sola società, per evitare quella che potrebbe essere la fittizia creazione di cariche amministrative al solo fine di ottenere le agevolazioni spettanti alle società agricole.

Per quanto riguarda invece il ruolo dell’amministratore al fine di maturare i requisiti richiesti alle società agricole, vale la pena soffermarsi sull’interpretazione che emerge dalla risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale dell’Emilia Romagna, all’interpello n. 909-216/2006, prot. 909-32505/2006 datata 20 luglio 2006. L’amministratore in possesso dei requisiti di IAP o CD, consente la qualificazione della società come “agricola” nelle sole società di capitali e cooperative. Al contrario, nelle società di persone, la qualifica di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto deve essere presente in capo ad almeno uno dei soci. La differenza fondamentale quindi sta nel fatto che, nelle società di persone, il socio qualificato come IAP o CD, può non essere amministratore ma garantire comunque il requisito sostanziale alla società agricola.

Augurandoci di aver chiarito quali sono i requisiti che devono essere necessariamente rispettati dalle società per essere qualificate come agricole, si ribadisce come quest’ultimi risultino fondamentali per accedere a tutte le agevolazioni garantite al mondo agricolo, nel passato riservate agli imprenditori agricoli individuali.

manuale di autodifesa fiscale

Manuale di autodifesa fiscale

ad uso di lavoratori autonomi – non subordinati e non imprenditori

Il lavoratore autonomo: art.2222 codice civile

Una persona in carne ed ossa, senza alcuna registrazione presso l’agenzia delle entrate, puo’ lavorare in autonomia senza aderire ad alcuna organizzazione d’impresa. Puo’ lavorare da sola, senza collaboratori di alcun tipo, senza aver frequentato alcun corso, utilizzando macchinari propri. Non avendo partita iva non emette fattura. Se lavora per un’impresa (sostituto d’imposta) lavora in ritenuta d’acconto.

Non trovano più applicazione da tempo i limiti economici e di durata previsti dalla c.d. “Legge Biagi” (D.Lgs. n. 276/03, modificato dall’articolo 24 del D.L. n. 201/2011 c.d. “Legge Fornero“), ovvero durata max. di 30 giorni per committente nell’anno e max. 5.000 euro lorde di compensi. Tale disposizione, infatti, è stata abrogata a partire dal 25 giugno 2015, giorno di entrata in vigore del D.Lgs. 81/2015. Ad oggi, quindi, l’unico riferimento normativo è dato dall’art. 2222 del codice civile.

I redditi prodotti, sotto il profilo fiscale, vanno inseriti in dichiarazione alla voce “redditi diversi”.

Questo vale per la generalita’ dei lavori effettuabili da un singolo lavoratore autonomo

(carpenteria in legno, ferro, edilizia, costruzione muri a secco, fare un sito internet, senza organizzazione di impresa. Sono preclusi ad esempio il trasporto su gomma, il conferimento di rifiuti in discarica conto terzi per cui serve un formulario non rilasciabile ai lavoratori autonomi)

a che serve l’impresa?

Diverso e’ il caso della collaborazione tra piu’ soggetti per raggiungere uno scopo, o la condivisione di attrezzatura e macchinari. Fino a che un soggetto utilizza i propri macchinari, non ci sono problemi per quanto riguarda la sicurezza (posto che i macchinari siano revisionati). Ma ad esempio prestare un macchinario ad un terzo dal punto di vista della sicurezza pone dei problemi.

Anche collaborare all’interno di un cantiere pone dei problemi relativi alla sicurezza, le mansioni dei lavoratori autonomi devono essere infatti rigidamente separate per essere a posto con la normativa. E quando non lo sono, ad esempio per necessita’ del cantiere, si rende necessaria un’organizzazione di impresa, per coordinare i vari lavoratori (autonomi) nel rispetto delle normative di sicurezza.

Corsi e ricorsi

Sfatiamo, una volta per tutte, tante leggende relative ai corsi di formazione.

Questi sono obbligatori per i lavoratori dipendenti in quanto servono a “parare le terga” ai datori di lavoro in caso di incidente. Se un lavoratore dipendente si facesse male e non avesse il corso relativo alla mansione oggetto di incidente, sarebbero guaj seri … per il datore di lavoro. Mentre se il corso era “regolare” (corso online, o in presenza, “fuffa” ma con regolare attestato) allora meno problemi si pongono per il datore… i corsi in buona sostanza servono a tenere il culo al caldo ai datori e con una nozione reale di “sicurezza” non hanno molto a che vedere, specialmente dall’era covid in avanti in cui i corsi online “fuffa” sono parificati ai corsi in presenza.

L’attenzione alla sicurezza sul lavoro viene dalla formazione reale e non da quella fittizia. (da una conversazione avuta con un ispettore del lavoro)

Un lavoratore autonomo ha facolta’ di seguire i corsi obbligatori per i dipendenti. (D.lgs 81/08)

Nel caso di lavoratori autonomi, che tengono alla loro ghirba, il non avere datori di lavoro implica non avere orari stressanti o ritmi allucinanti. Gia’ questo li tiene alla larga da una serie non irrilevante di incidenti.

Quando un lavoratore autonomo non inserito in un’organizzazione di impresa si fa male, non ha alcuna copertura infortunistica.

Quando lavoratori autonomi si uniscono in cooperativa, collaborano all’organizzazione di impresa. Stipulano un’assicurazione infortunistica (inail) e nella cooperativa a cui hanno dato vita, tra le prime cose che dovranno fare e’ formarsi sul tema della sicurezza relativamente alle mansioni che via via potranno svolgere, sempre nel rispetto dell’autonomia decisionale dei singoli. Soci con capacita’ specifiche le condivideranno con chi ha meno esperienza, in un percorso di formazione reale. La sostanza di questa formazione reale dovra’ anche essere formalizzata, in modo da poterla esibire in caso di bisogno agli organi inquirenti… Cercare di coniugare forma e sostanza e’ sempre la bussola da seguire per evitare incomprensioni.

Una cooperativa di lavoratori autonomi e’ un’impresa in cui i soci decidono insieme quali cantieri aprire, ognuno da le proprie disponibilita’ per i diversi cantieri. Le specificita’ ed attitudini di ognuno si compongono insieme per ottenere il migliore risultato, nell’interesse della cooperativa – e dei soci.

Lavori agricoli

Chi effettua lavorazioni agricole genera reddito agrario e non reddito di impresa. Fino a 7000 euro di reddito agrario l’anno non vi sono obblighi di registrazione presso l’agenzia delle entrate, nessuna partita iva, nessuna iscrizione inps o inail.

Non avendo partita iva, non si puo’ fatturare. Se vendiamo i nostri prodotti o servizi agricoli ad un’impresa, questa dovra’ emettere autofattura indicando i nostri dati fiscali. Sulla base delle autofatture si dedurra’ l’eventuale superamento dei 7000 euro l’anno – i limiti dell’esonero contributivo-, ma per la vendita diretta non ci sono particolari adempimenti da seguire a parte tenere un registro (cartaceo) con le ricevute di vendita.

A questo reddito agrario potremmo (ma devo verificarlo) aggiungere altri 5000 euro di lavoro autonomo senza doverci iscrivere a nulla. Superati i 5000 euro di lavoro autonomo va fatta l’iscrizione all’inps – gestione separata – per il versamento dei contributi previdenziali. Non essendo il lavoratore autonomo tenuto all’iscrizione al registro delle imprese, non essendoci dunque organizzazione di impresa, non c’e’ un minimale contributivo annuo come invece accade per qualsiasi lavoratore autonomo “artigiano”, “commerciante” o “coltivatore diretto”.

I professionisti iscritti alla gestione separata pagano in base al fatturato, e gli vengono conteggiati ai fini della pensione i mesi versati…

Prima assemblea 2025 dei soci

Le iniziative proposte all’assemblea sono visibili QUI

 

Questo venerdi 31 Gennaio 2025 alle 18 si terra’ la prima assemblea 2025 dei soci del circolo. Ordine del giorno:

Tesseramento: decisione assembleare della quota associativa per il 2025

Lavori interni

Utilizzo degli spazi interni / esterni

Iniziative in programma, calendarizzazione

Varie ed eventuali

 

Sabato 7 Dicembre Presentazione “Mirabilia. Il giro del mondo in ottanta oggetti”

“Mirabilia. Il giro del mondo in 80 oggetti”, di Cristina Balma Tivola (con ill. di Alice Piscitelli), Ed. Le Journal des Voyages, p.288, €24,00 (in uscita a novembre 2024).

I Luba del Congo raccontavano il passato facendo scorrere un dito della mano destra su una piastra rettangolare con incastonate perline d’ogni colore quasi fosse uno smartphone. Se tra gli Aborigeni australiani si voleva invitare qualcuno a una festa gli si faceva invece recapitare un bastone in legno inciso per l’occasione secondo un codice si linee e punti. Di persona, un Kanak avrebbe rafforzato il proprio carisma durante un’orazione impugnando un’ascia cerimoniale, ma se l’interlocutore fosse stato un Kiribati sospettoso di rischiare di riceverla in testa avrebbe forse indossato a scopo cautelativo un elmo di pesce palla. Le parole di un predicatore protestante troppo appassionato sarebbero state frenate da una clessidra da pulpito, ma i buddhisti tibetani analfabeti potevano assicurarsi la benevolenza divina semplicemente facendo scorrere le
ruote di preghiera in metallo poste all’ingresso dei templi.
Necessità quotidiane (come mi procuro il cibo, dove dormo, con cosa mi copro, come comunico e mi comporto con gli altri) o questioni esistenziali (chi sono, da dove vengo, che ci faccio qui e perché, dove
vado): le domande dell’essere umano su come portare avanti la propria vita sono sempre le stesse ad ogni latitudine.

Ciò che varia sono le risposte, e ogni cultura propone le sue.
Qui si raccontano ottanta meraviglie della creatività culturale realizzate nel contesto e come parte di queste risposte, e le visioni del mondo che vi stanno dietro. Conosciute o addirittura familiari, ignote e magnificamente sorprendenti, queste soluzioni sono dimostrazioni commoventi e ammirevoli dell’impegno
di uomini e donne per escogitare modi con i quali garantirsi la sopravvivenza e per venire a patti con i grandi interrogativi dell’esistenza.

Cristina Balma-Tivola è dottore di ricerca in Antropologia Culturale, ambito in cui lavora come ricercatrice indipendente muovendosi tra scrittura, video, performance e varie pratiche artistiche.

Alice Piscitelli, diplomata all’Accademia di Belle Arti, è scenografa e costumista per il cinema e il teatro cui aggiunge l’attività di serigrafia e la creazione di oggetti.